1- Cos’è la Psicologia Perinatale?
La Psicologia Perinatale è un ambito della psicologia che si occupa di sostenere, accompagnare e prendersi cura della triade (mamma, papà, bambino) durante il processo di genitorialità.
Lo sguardo di cura dello psicologo perinatale inizia ancor prima della gravidanza stessa, quando una coppia decide, o sta maturando il desiderio, di diventare genitore.
Il dialogo che si può stabilire con lo psicologo perinatale ha quindi come focus il concepimento, la gravidanza, il parto e il puerperio, fino ai primi anni di vita del bambino e del neo genitore.
Gli ambiti citati aprono un’infinità di argomenti differenti, ai quali la psicologia perinatale si dedica.
Ad esempio, quando si pensa al concepimento, la coppia può vivere delle difficoltà a riguardo: l’attesa può essere lunga, la gravidanza può non arrivare dopo diversi tentativi, il pensiero può essere rivolto alla procreazione medicalmente assistita.
Oppure, se pensiamo alla gravidanza, non sempre essa viene vissuta con serenità e facilità dalla coppia e, nello specifico, dalla mamma. Possono invece presentarsi disturbi fisici, quali ad esempio le gravidanze a rischio, piuttosto che il lutto perinatale e l’aborto, eventi che hanno un meritevole riscontro psicologico da non sottovalutare.
Il parto rappresenta anch’esso un delicato momento di vita della coppia, il cui andamento e vissuto determinano l’inizio di uno specifico stile di relazione ed attaccamento con il proprio bambino.
Il puerperio è una delicata fase di passaggio, dove la mamma con il bambino imparano a conoscersi e viversi, tanto quanto con il papà; a volte, alcuni sentimenti difficili possono trasformarsi in qualcosa di invalidante come ad esempio una depressione post partum.
Infine, i primi anni di vita del bambino rappresentano un’occasione quotidiana di scoperte, crescita, fatiche, interrogativi, dove vengono messe in gioco le diverse parti di sé, quella di genitore ma anche quella di figlio o figlia che si è stati.
Tutto quanto accennato è il prezioso mondo di cui si occupa lo psicologo perinatale, con le sue competenze specifiche in merito, oltre che con l’accoglienza, il supporto, l’empatia e la neutralità che fanno parte della sua persona, in un lavoro di equipe con altre figure specialistiche come il ginecologo, l’ostetrica, l’osteopata, il pediatra, il consulente in allattamento, lo psichiatria, il nutrizionista.
Lo psicologo perinatale è quindi di fondamentale importanza per accompagnare la coppia in tutti questi cambiamenti, tendendo a mente i bisogni della mamma, del bambino, del papà, per un passaggio consapevole alla genitorialità.
2. Consulenza online o in presenza?
Oggigiorno per molti psicologi è possibile condurre alcuni tipi di colloqui nelle due versioni: online e in presenza.
Io la trovo una fantastica opportunità.
Il colloquio e la consulenza psicologica nascono di base nella modalità in presenza; tuttavia, quella online era già presente ma usata di rado.
Con l’arrivo del lockdown molti di noi hanno dovuto adattare questa classica modalità, magari rinunciandovi, per spostare il luogo di accoglienza dell’altro in uno spazio virtuale, online.
Una grande opportunità per molti!
Differenze e similarità?! Senza giudizio o presa di posizione, provo ad elencarvi alcuni miei riscontri.
1. Il luogo.
In presenza devi recarti dallo psicologo, nel suo studio, in un luogo appartato, privato, che diventa quello delle confidenze; questo implica un viaggio, una distanza da percorrere, più o meno faticosa, ad esempio la mia analista era distante 30 minuti di auto…non poco. Online puoi svolgere la seduta ovunque tu sia, purché sia garantita una certa privacy e il luogo delle confidenze diventa lo stare con l’altro.
2. La relazione.
In presenza oppure online ti puoi affidare al tuo psicologo allo stesso modo. É fondamentale però che da parte del terapeuta vi sia la medesima dedizione, l’ascolto, l’empatia, la neutralità.
3. La distanza fisica.
In presenza vi è l’impossibilità di stringersi la mano, per salutarsi, o abbracciarsi quando è necessaria una consolazione; lo psicologo è lì, ma tu non puoi accedervi. Online è sempre presente questa
limitazione, tuttavia appare come giustificata dalla presenza dello schermo, quindi di una realtà oggettiva che crea una distanza, mentre in presenza sembra più soggettiva, ovvero è lo psicologo che decide di non abbracciarmi eppure è lì, così vicino.
4. La mascherina.
In presenza è necessaria, ad ora, e limita fortemente la visibilità dell’altro, in termini emotivi; ovvero, un pezzo del volto è coperto, si possono solo immaginare le sfumature emotive, a volte si perdono, non si percepiscono, si crea come un buco, una faticosa sintonizzazione con l’altro. Online questi aspetti vengono protetti, sono accessibili; tuttavia, qualcuno paragona il filtro della mascherina al filtro dello schermo, anch’esso inteso come una sorta di barriera all’altro.
5. Lo schermo.
In presenza è ovviamente assente e il contatto con l’altro appare più diretto. Online è come se ci fosse un salto per accedere all’altro. In entrambi i casi, le pause, i silenzi, il guardare altrove per pensare, accentuano una distanza, più o meno funzionale.
6. Il sensoriale.
In presenza è vivo, online va immaginato. Quindi, penso ad un profumo, al sentire/percepire l’altro, al vedere l’altro, al toccarlo, se concesso.
7. La corporeità.
Stessa cosa. In presenza è totale, si sente il corpo dell’altro, lo si vede, lo si percepisce. Online va immaginato, si vede un pezzo dell’altro, solitamente, fino al busto.
8. Emozioni.
In presenza ci si può sentire più autorizzati ad esprimerle, poiché si percepisce maggiormente la vicinanza dell’altro; d’altro canto, la vicinanza dell’altro può bloccare ed inibire l’espressione di pensieri ed emozioni. Online, per qualcuno risulta quindi più facile esprimersi, perchè lo schermo protegge, mette una barriera difensiva che aiuta ad aprirsi.
9. Le interruzioni.
Presenti in entrambi i casi, ma in modalità differenti: in presenza può essere l’interruzione del citofono che suona, mentre online ad esempio un cedimento della linea internet.
10. Io e te.
Presenti in entrambi i casi. Questo per me è il punto fondamentale. Ci sono delle differenze tra l’una e l’altra modalità, come accennato, ma la cosa fondamentale è esserci. Per l’altro.
Io ho scelto di adottare entrambe le modalità, in accordo con il pensiero della persona che mi chiede aiuto.
3. La “terapia mamma-bambino” cos’è?
In alcuni casi, soprattutto quando è presente una difficoltà legata ai distacchi, trovo molto utile accogliere in seduta il bambino assieme al genitore con il quale manifesta un legame di attaccamento più forte.
In queste situazioni, spesso è la mamma.
Dunque, solitamente propongo ad entrambi di seguire la seduta, assieme, la quale si sviluppa nel gioco, nel disegno o nella lettura di un libro tematico, tutti strumenti che agevolano l’accesso alle emozioni e ai pensieri meno consapevoli.
Il bambino e la mamma possono così portarmi delle difficoltà, della fatiche, un disagio, un problema, attraverso questi canali.
Ognuno di loro ha la possibilità di esprimersi a riguardo e così, in aggiunta al mio ruolo, si cerca di trovare assieme filo rosso.
Questo permette, prima di tutto, di avere una lettura di quanto sta accadendo, di scoprire dei significati di situazioni o vissuti specifici, di trovare assieme il modo di esprimerli, come quello di risolvere una questione aperta e sofferente, fornendo cosi una risposta alla domanda portata, sia dal genitore che dal bambino assieme.
Questo tipo di consulenza può iniziare in questo modo, con l’accoglimento del genitore e del bambino assieme; lo sviluppo potrebbe poi evolvere in una consulenza di tipo individuale, come invece terminare così.
Personalmente, trovo molto arricchente lavorare con il genitore e il bambino assieme: la seduta è un vulcano di emozioni, scambiate l’uno con l’altro, in un intenso e profondo dialogo, intesa ed empatia.