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PERCHE’ I BAMBINI NON RISPETTANO LE REGOLE?

“Non riesco a fargli rispettare una regola, che sia una!!! Fa sempre quello che vuole, se dico qualcosa non ascolta mai”.
Quante volte vi siete ritrovate nei panni di questa mamma?
Lei sta parlando del suo ometto di 11 anni, il quale si trova a metà tra l’essere un bambino da una parte e il diventare un futuro adolescente dall’altra.
Cosa c’è dietro questa faccenda delle regole?! E dietro la difficoltà a rispettarle?!
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo fare un passo indietro, nella storia d’infanzia di questo undicenne, poiché la mamma lo descrive come un bambino che fin da piccolo faticava ad ascoltare l’adulto di riferimento, sia a casa che a scuola.
Per spiegarvi cosa può essere successo, mi vengono in mente le teorie di Winnicott, il quale sottolineo’ un rapporto diretto tra l’ “antisocialita’” ed esperienze precoci di “perdita” o deprivazione affettiva. Ovvero, se l’esperienza di perdita è traumatica ed avviene quando il bambino è molto piccolo, le tendenze a diventare “antisociali” saranno più marcate.
Con “tendenze antisociali” si puo’ intendere, in modo più o meno evidente, il mancato rispetto delle regole.
Mentre con il termine “deprivazione” si intende un’esperienza più o meno intensa di carenza affettiva. Entambe le definizioni lasciano grande spazio all’interpretazione.
I bambini, da piccoli, hanno bisogno di esprimere la propria rabbia nei confronti della figura materna. Ciò si manifesta nel gioco del bambino, oppure quando i bambini morsicano, anche durante l’allattamento, o in altre circostanze ancora.
È la risposta della mamma a questa rabbia, tipica, che permetterà al bambino di capire come fare sia con la rabbia che con le regole.
Ovvero, se la mamma tollera questa rabbia nei suoi confronti, senza lasciarsi sommergere, reagire allo stesso modo, vendicarsi, allora andrà tutto bene. Il bambino sentirà la presenza della madre, che ad esempio gioca con lui nonostante la rabbia, e sentirà di esistere, perché esiste la relazione con la mamma, che non viene distrutta dalla rabbia.
Se invece questo passaggio è difficile, il bambino penserà di dover nascondere questa parte arrabbiata di sé, per dargli poi vita in un secondo momento. In assenza della mamma nel gioco, che ad esempio si ritira perche’ non tollera la rabbia, il bambino sentira’ una mamma assente, un vuoto affettivo. Sentira’ solo rabbia, che rimane non contenuta dalla mamma stessa perche’ assente, e solo con la rabbia si sentira’ vivo. L’assenza o l’allontanamento della mamma inoltre, farà pensare al bambino di essere lui stesso la causa del distacco, perché ha provato rabbia. Si sentirà poi in colpa.
Tornando alla mamma di cui sopra, ecco allora spiegato questo problema con le regole.
La rabbia del suo bambino quindi si esprime sottoforma di non rispetto delle regole, di aggressivita’, di antisocialita’, perché quando era piccolo lei ricorda di aver avuto paura di questa rabbia, di essersi preoccupata di non saperla gestire.
La mamma racconta di averlo lasciato solo con queste emozioni forti, di non averlo contenuto abbastanza, di aver messo pochi limiti, perché vedeva che lui non reagiva come lei si aspettava e allora ricorda che per lei è stato più facile gettare la spugna.
In questi casi, può essere davvero una sfida fare i conti con un bambino molto molto arrabbiato.
Gettare la spugna, pensiero legittimo per questa mamma, alimenta la rabbia e la sensazione di onnipotenza del bambino.
È importante che ci sia presente l’altro genitore, che aiuti a colmare questo vuoto, che prenda le redini della situazione con il bambino e la sua rabbia, che aiuti l’altro genitore a riacquistare forza e sicurezza di sé.
Questa mamma era fortunata. Aveva di fianco a sé un papà molto attento e presente che è riuscito ad aiutarla in questa missione.

LA SINTONIZZAZIONE TRA UNA MAMMA E IL SUO BAMBINO.

Si parla di “sintonizzazione emotiva” riferendosi alle capacità della mamma di entrare in empatia con il proprio bambino, sintonizzandosi sui suoi bisogni per poterli soddisfare. L’osservazione o lo sguardo sono, ad esempio, degli ottimi strumenti per adempiere a questo compito.

Coi bambini piccoli è fondamentale il contatto visivo perché trasmette loro la sensazione di esistere e, a volte, accade che una mamma non riesca o non possa sostenere questa interazione. Ad esempio, se una madre soffre di depressione post partum, vive una sofferenza in cui vi è una maggiore concentrazione sui propri bisogni, con la conseguente trascuratezza dei bisogni del piccolo, che si sentirà come non visto dalla propria mamma.

In alcune ricerche si è visto come i bambini che mostrano un comportamento iperattivo, per cui sono perennemente agitati, sembrano adottare questo atteggiamento con lo scopo di catturare l’attenzione materna e il contatto, visivo e non, con lei, come per volerla “rianimare” e sentire di esistere a loro volta come conseguenza.

Allora di cosa hanno bisogno i bambini, in base a questa questione?

Che una mamma sappia adattarsi in modo “sufficientemente buono”, come direbbe Winnicott, alle esigenze del suo bambino, affinchè non debba attendere troppo a lungo una risposta alle sue richieste e abbia l’impressione di “essere lui stesso il creatore della risposta”. La risposta può riguardare l’attesa della pappa, il momento di salutarsi per andare a letto e tutti gli altri momenti di relazione mamma-bambino.

In termini più semplici, è importante che ci sia una risposta tempestiva ed adeguata della mamma, affinchè vi sia una coincidenza tra il bisogno che nasce nel bambino e la risposta che arriva dalla madre. Se si anticipano i bisogni del bambino o se si ritarda troppo nella risposta, l’effetto sarò simile in entrambi i casi: si provoca un sentimento di impotenza di fronte ad un mondo esterno che il bambino non riesce più a comprendere, poiché inizia a risultargli imprevedibile.

Le conseguenze? Il bambino può ad esempio diventare anch’esso depresso, poiché si sente solo nei suoi bisogni, oppure sviluppare capacità di controllo verso la madre il che lo rende più insicuro, dipendente e sensibile ai cambiamenti.

Dove si possono notare questi segnali? Ad esempio, nelle esperienze di separazione. Se il bambino avrà una interiorizzato una mamma sufficientemente buona, queste esperienze avverranno con naturalità: al distacco dalla mamma il bambino potrebbe ricorrere all’auto-consolazione, ad esempio succhiandosi il pollice, ritrovando in questa e altre attività il piacere di stare con la mamma.

Viceversa, quando si separa e non regge il vuoto del distacco, ha bisogno di controllare all’esterno ciò che gli sfugge all’interno, quindi diventa dipendente dall’ambiente, ad esempio tramite i capricci, che diventano un mezzo per tentare di controllare la dipendenza.

O ancora, se un bambino non ha investito affettivamente nella relazione materna, sostituisce la madre, sempre percepita come lontana dai suoi bisogni, con comportamenti quali il dondolio, battere la testa contro il muro, strapparsi i capelli. Che significato ha tutto ciò? Siccome non sente una madre che, tramite lo sguardo, gli trasmette la sensazione di esistere, trova da solo questa sensazione con comportamenti auto lesivi, ovvero farsi del male gli permette di sentire il suo corpo e sentire di esistere.

Abbiamo parlato di capacita di sintonizzazione ed una mamma può chiedersi “chissà se io ce l’ho?! Chissà come è andata con il mio bambino?!”. Nella mamma è una capacità innata che fa parte dell’istinto materno; come detto, in alcuni casi può nascondersi dietro altre difficoltà o sofferenze, ma non la si perde.

LA PIU’ GRANDE DOTE DI UNA MAMMA

download (2)Qual è uno dei compiti più importanti di una mamma con il suo neonato? La rêverie. Vi spiego di cosa si tratta in termini semplici.
Innanzitutto è una capacità innata di tutte le mamme, che si sviluppa grazie ai primi contatti con il neonato e cresce, cambiando, nel tempo.
La mamma, fin dalla gravidanza, è per il bambino il suo “contenitore”. La mamma contiene il bambino nella pancia durante la gestazione, lo con-tiene tenendolo in braccio quando nasce, contiene il suo pianto, le sue emozioni.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, la mamma ha la capacità di recepire ed interpretare i messaggi del suo bambino e di comprendere l’origine delle sue paure, delle sue angosce e delle sue sensazioni fisiche.
Per comprenderci, mi riferisco ad esempio al momento in cui il bambino piange e la madre, quasi magicamente, riconosce il pianto del figlio, sa a cosa è legato e quali sono i bisogni sottostanti. Come sanno le mamme, non è necessario nessuno studio, nessun libro da consultare, ma è una dote che la mamma ha naturalmente. Allo stesso tempo, il bambino sa che può contare su di essa per esprimere i suoi vissuti o disagi, sa che c’è un “contenitore mamma” che si occupa di lui e dei suoi bisogni.
A volte, può capitare che questa competenza nella mamma sia bloccata o limitata. Mi riferisco a quelle situazioni, come ad esempio, una depressione post partum, che interferisce a creare questa sintonia nella coppia mamma-bambino e che merita un supporto esterno per essere a sua volta contenuta.
Ma torniamo al concetto di rêverie, perché finora ho parlato di “contenimento”. Lo spiego con un esempio.
Il bambino piange, la mamma interviene, lo prende in braccio, gli parla e va incontro al suo bisogno, e il bambino si calma.
Cos’è successo in questa semplice e breve sequenza?
Il bambino, tramite il pianto, ha gettato fuori da sé qualcosa di insopportabile per la sua mente. Quando i bambini piangono, e non solo i bambini, esternano un’emozione spiacevole che non possono trattenere dentro di sé.
La mamma, con la sua empatia, sensibilità e disponibilità, lo ha contenuto, cioè accolto, ovvero si è resa disponibile ad aiutare il suo bambino, ad accettare ciò che il bambino le proponeva.
È qui che interviene la capacita di rêverie della mamma.
Essa trasforma questo contenuto doloroso, il pianto, in qualcosa di più tollerabile per il bambino, ovvero, ad esempio abbracciandolo o dandogli il latte, gli mostra che il pianto può passare, che il suo bisogno può essere colmato.
Il bambino allora “apprende” che se prima c’è un bisogno che crea dolore, frustrazione, pianto, dopo questo può passare e trasformarsi in un’esperienza piacevole, rassicurante, di affetto.
Perché ho voluto dare tanta attenzione a questa competenza di rêverie?
Perché è fondamentale per il bambino piccolo vivere esperienze di questo tipo, ovvero è importante che una madre ci sia nel momento in cui il bambino esprime un bisogno e necessita di lei come contenitore di questo bisogno, come colei che fa passare la frustrazione ad esso legata.
Se questo avviene, i bambini crescono sicuri di sé, capaci di gestire e tollerare le proprie frustrazioni, più indipendenti da grandicelli.
Quindi, in sostanza, l’esserci della madre con la mente prima, favorendo una buona dipendenza, aiuta all’autonomia.
Alcune teorie sostengono il contrario. Ad esempio, il lasciarli piangere cosicché si abituano alla frustrazione momentanea e possono fare da soli più facilmente.
Io credo che così la madre non passi al bambino la capacità di elaborare le emozioni e le frustrazioni, ma trasmette il suo non esserci. Il bambino apprende questo.
“Lavorare” con le emozioni è utile farlo lungo tutta la crescita di un bambino, poiché la vita, immancabilmente, gli presenterà diverse occasioni emotive che dovrà essere in grado di affrontare.

NELLA MENTE DEI NEO GENITORI

download (1)Quando una coppia sceglie di allargare la famiglia e avere un bambino, in genere, è una decisione presa con entusiamo, che alimenta gioia e serenità.
Quando il neonato arriva l’atmosfera elettrizzante persiste ma può accompagnarsi, a volte, alla presenza di sentimenti ambivalenti.
Che cosa di intende con questo termine?
In particolare per la donna, già durante la gravidanza, possono emergere sentimenti “negativi” verso il bambino o verso l’essere madre.
Si possono tradurre ad esempio in pensieri come “non sarò una buona mamma”, “e se piange molto cosa faccio?!”, “dovrò fare tutto da sola?!”, “non sono sicura di aver preso la decisione giusta”, “forse dovevamo aspettare ancora un po’”.
Sono pensieri e sentimenti che possono descrivere una sorta di “rifiuto” della gestazione stessa, del bebè in arrivo e della nascita della donna come madre.
Sono pensieri e sentimenti tipici, nel senso che molte mamme li hanno pensati e provati e sanno che passano una volta riassestato l’equilibrio della nuova famiglia che si è formata.
Allo stesso modo, anche il padre può provare le stesse sensazioni. Ci sono degli studi che affermano come un uomo realizzi maggiormente l’idea di essere diventato padre appena vede il suo bambino, al momento della nascita.
Non tutte le persone sono uguali, per cui ritengo non si possa fare un discorso valido per tutti. Ci sono anche molti papà che hanno una sensibilità acuta e sono molto in sintonia con la madre e con il bambino già durante l’attesa.
In ogni caso, da dove arrivano questi vissuti?
Dal passato del genitore. Il passato di ognuno ha sempre un’influenza di qualche tipo sul presente, sulle relazioni. Il diventare genitori è una trasformazione psichica che muove molti aspetti del passato, ovvero, a livello inconscio la regressione psichica permette ai genitori di sentirsi bambini, come lo erano un tempo, di identificarsi e mettersi nei panni dei propri genitori, per capire che tipo di genitori vogliono essere loro.
Insomma, una serie di movimenti, non proprio semplici, che giustificano il periodo sensibile e delicato che un uomo e una donna attraversano.
Per tali motivi, è molto importante che tra la coppia ci sia un equilibrio solido, già prima dell’arrivo di un bebè e siano risolti, in parte, i conflitti emotivi che il passato di ognuno porta nel presente nella relazione di coppia.
“Sei come mia madre!”: prendo la frase come esempio per dire di come le relazioni che una persona intrattiene nel passato con i propri genitori, si ripropongano similmente con il proprio partner nell’attuale.
Nello sconvolgimento dei ritmi legati all’arrivo del bebè, la parola chiave per sostenere l’equilibrio di una coppia è “capirsi “.
L’incomprensione e il non sentirsi capiti sono spesso alla base delle liti nelle coppie. Esprimono due cose differenti, ma strettamente interconnesse, poiché la prima sembra più affine alla concretezza, all’oggettivita’ (non c’è stata effettivamente comprensione), mentre la seconda ad un vissuto, ad un qualcosa di soggettivo (sento che non mi capisce).
Allora come allenare questa capacità presente in ognuno di noi?
Ci vuole una buona capacità autoriflessiva, ovvero l’essere consapevoli di come funzioniamo nelle relazioni con l’altro. La si puo’ allenare o sviluppare guardandoci da lontano, per poterci osservare e capire piu’ attentamente, nel meglio di noi ma anche nei nostri punti critici.
Ci vuole anche una buona empatia e “teoria della mente”, ovvero la capacità di comprendere che cosa succede nella mente dell’altro, intuendo i suoi pensieri e le sue emozioni. La si può allenare o sviluppare cercando di mettersi nei panni dell’altra persona, chiedendosi cosa pensa e prova in quella determinata situazione.
Questi piccoli allenamenti, a volte non semplici per qualcuno, possono salvare la coppia per quanto riguarda la questione del capirsi, soprattutto in un momento critico come il diventare genitori.

IL LINGUAGGIO DEL CORPO NEL BAMBINO

downloadMal di pancia improvvisi, mal di testa inspiegabili, apaticita’ oppure estrema agitazione, disturbi nel sonno, dermatite atopica. Che significato hanno? Come aiutare bambini e genitori a superare questi disagi “psicosomatici”?
Capiamo prima di tutto perché ci sono.
Il bambino difficilmente usa le parole per esprimere le sue emozioni e i suoi conflitti, come invece solitamente fa l’adulto.
Il bambino usa il comportamento ed il corpo.
Mente e corpo sono quindi stettamente collegati, tant’e’ che l’espressione di un vissuto va di pari passo con le tappe di sviluppo. Mi spiego. Per un bambino piccolo il vissuto si puo’ esprimere attraverso la pelle, difatti intorno ai 6 mesi circa di vita potrebbe esserci l’esplosione di una dermatite atopica, magari espressione di un conflitto nella separazione con la figura di attaccamento. Proseguendo, un bambino intorno a 1 anno circa potrebbe esprimere i suoi conflitti mostrando un comportamento estremamente iperattivo. Alla scuola materna, ciò potrebbe trasformarsi nella comparsa di un tic o esprimersi come un dolore somatico, ad esempio un mal di pancia. Alla scuola elementare frequenti sono le lamentele legate alla cefalea.
Quando un sintomo nel corpo non ha nessun correlato eziologico, cioè di causa, con un fattore medico, allora si parla di disturbo psicosomatico.
Il sintomo, in questo caso, è un compromesso tra corpo e mente , una soluzione di ripiego.
Per questo motivo, è molto importante aiutare i bambini a dare un significato al sintomo, tradurlo, usando le parole per comprendere le emozioni. È il lavoro che fa uno psicoterapeuta nel suo studio e, in modo diverso, è anche uno strumento che può utilizzare il genitore a casa per aiutare il bambino a superare i suoi conflitti.
Questo metodo è qualcosa che risale fin dai tempi di Freud, il quale riuscì a trovare il nesso tra certi dolori fisici e fantasie dei suoi pazienti, a parlarne con loro, e assistette così alla scomparsa dei sintomi iniziali.
Perché i bambini prediligono la via espressiva del corpo?
Perché lo loro psiche appare ancora immatura da un punto di vista evolutivo.
È nella relazione con la madre che essa si struttura, attraverso l’accudimento continuo, nel tempo.
È la madre che “presta” al bambino la sua mente, capace di elaborare vissuti e situazioni, e il bambino la fa sua, essendo con la madre in una relazione molto intima dove ciò è possibile.
Per alcuni autori, i disturbi psicosomatici rappresentano la mancata o difficile separazione tra la mamma ed il suo bambino.
Mi spiego. La relazione “intima” o “simbiotica”, prima definita, è un passaggio tipico, una condizione di relazione normale nei bambini piccoli, prima dell’anno, con la loro mamma. È qualcosa di necessario per la crescita del bambino come persona. Poi ci si deve avviare alla separazione e, a volte, ciò puo’ risultare complicato sia per la madre che per il bambino. Il famoso “oggetto transizionale“, ovvero una copertina, un peluche che il bambino porta sempre con se’ o altro ancora, serve proprio per facilitare questo passaggio. Se ciò avviene con difficoltà o non avviene, ecco che il conflitto che il bambino vive si presenta con un disturbo nel corpo.
Cosa può fare un genitore?
Può aiutare un bambino a mettere in parole sentimenti ed emozioni, può giocare molto con lui poiché il gioco gli permette di esternare simbolicamente i suoi vissuti e conflitti e condividerli cosi’ con la mamma o il papà, può disegnare insieme a lui, poiché nel disegno il bambino simbolizza ciò che pensa o prova. Così, tramite questi semplici strumenti, il bambino può iniziare ad esprimere ciò che c’è dentro il suo mondo interno e, insieme ad un genitore attento ed accogliente, capire i suoi conflitti e attenuarli.

BAMBINI DIPENDENTI O CAPRICCIOSI

sintonizazione

Si parla di “sintonizzazione emotiva” riferendosi alle capacità della mamma di entrare in empatia con il proprio bambino, sintonizzandosi sui suoi bisogni per poterli soddisfare.  L’osservazione o lo sguardo sono, ad esempio, degli ottimi strumenti per adempiere a questo compito.

Coi bambini piccoli è fondamentale il contatto visivo perché trasmette loro la sensazione di esistere e, a volte, accade che una mamma non riesca o non possa sostenere questa interazione. Ad esempio, se una madre soffre di depressione post partum, vive una sofferenza in cui vi è una maggiore concentrazione sui propri bisogni, con la conseguente trascuratezza dei bisogni del piccolo, che si sentirà come non visto dalla propria mamma.

In alcune ricerche si è visto come i bambini che mostrano un comportamento iperattivo, per cui sono perennemente agitati, sembrano adottare questo atteggiamento con lo scopo di catturare l’attenzione materna e il contatto, visivo e non, con lei, come per volerla “rianimare” e sentire di esistere a loro volta come conseguenza.

Allora di cosa hanno bisogno i bambini, in base a questa questione?

Che una mamma sappia adattarsi in modo “sufficientemente buono”, come direbbe Winnicott, alle esigenze del suo bambino, affinchè non debba attendere troppo a lungo una risposta alle sue richieste e abbia l’impressione di “essere lui stesso il creatore della risposta”. La risposta può riguardare l’attesa della pappa, il momento di salutarsi per andare a letto e tutti gli altri momenti di relazione mamma-bambino.

In termini più semplici, è importante che ci sia una risposta tempestiva ed adeguata della mamma, affinchè vi sia una coincidenza tra il bisogno che nasce nel bambino e la risposta che arriva dalla madre. Se si anticipano i bisogni del bambino o se si ritarda troppo nella risposta, l’effetto sarò simile in entrambi i casi: si provoca un sentimento di impotenza di fronte ad un mondo esterno che il bambino non riesce più a comprendere, poiché inizia a risultargli imprevedibile.

Le conseguenze? Il bambino può ad esempio diventare anch’esso depresso, poiché si sente solo nei suoi bisogni, oppure sviluppare capacità di controllo verso la madre il che lo rende più insicuro, dipendente e sensibile ai cambiamenti.

Dove si possono notare questi segnali? Ad esempio, nelle esperienze di separazione. Se il bambino avrà una interiorizzato una mamma sufficientemente buona, queste esperienze avverranno con naturalità: al distacco dalla mamma il bambino potrebbe ricorrere all’auto-consolazione, ad esempio succhiandosi il pollice, ritrovando in questa e altre attività il piacere di stare con la mamma.

Viceversa, quando si separa e non regge il vuoto del distacco, ha bisogno di controllare all’esterno ciò che gli sfugge all’interno, quindi diventa dipendente dall’ambiente, ad esempio tramite i capricci, che diventano un mezzo per tentare di controllare la dipendenza.

O ancora, se un bambino non ha investito affettivamente nella relazione materna, sostituisce la madre, sempre percepita come lontana dai suoi bisogni, con comportamenti quali il dondolio,  battere la testa contro il muro, strapparsi i capelli. Che significato ha tutto ciò? Siccome non sente una madre che, tramite lo sguardo, gli trasmette la sensazione di esistere, trova da solo questa sensazione con comportamenti auto lesivi, ovvero farsi del male gli permette di sentire il suo corpo e sentire di esistere.

Abbiamo parlato di capacita di sintonizzazione ed una mamma può chiedersi “chissà se io ce l’ho?! Chissà come è andata con il mio bambino?!”. Nella mamma è una capacità innata che fa parte dell’istinto materno; come detto, in alcuni casi può nascondersi dietro altre difficoltà o sofferenze, ma non la si perde…

ANCHE I BULLI HANNO BISOGNO DI AIUTO

bullo

Si parla molto del bullismo e, in particolare, di come questo fenomeno abbia un riscontro emotivo e psicologico sulle vittime.

Per limitare il fenomeno è molto importante sostenere, rinforzare e dare degli strumenti alle vittime per far fronte alle violenze che subiscono.
Ma è sufficiente?!
Bisognerebbe anche agire con chi attua questi comportamenti aggressivi, forse prima di tutto.

La letteratura parla indicativamente di due tipi di bulli.
Il bullo leader e quello ansioso.
Entrambi agiscono comportamenti aggresivi di diverso tipo, ma se il primo agisce anche verso gli adulti, senza averne il minimo timore e senza mostrare la minima preoccupazione verso chi può rappresentare un’autorità, il secondo mostra una maggiore sensibilità verso il giudizio dell’adulto, il suo pensiero e ciò che potrebbe conseguire alle sue azioni.
Il risultato a volte non cambia il destino di alcune vittime, ma questa è una sfumatura importante che permette di fare delle riflessioni su come aiutare i bulli a comprendere le loro azioni e limitarle.

Partiamo dalle ipotetiche e generali cause per cui un bambino o un ragazzo abbia bisogno di comportarsi da bullo, fermo restando che ogni caso è a sé.
I diversi studi del fenomeno confermano la presenza di carenze affettive nella storia di crescita di questi bambini e ragazzi.
Il termine “carenze” è vago e può riguardare vuoti affettivi di diverso tipo.
Se sappiamo che esistono queste lacune alla base, allora è importante aiutare il bullo a colmarle, a sentirle di meno, a comprendere, ad elaborarle.
A causa del loro atteggiamento, vengono spesso emarginati dal gruppo non solo dei pari ma anche degli adulti.
Forse vale la pena riflettere sul fatto di adottare un approccio relazionale più accogliente e comprensivo da parte di chi quotidianamente si rapporta a loro, per aiutarli in tal senso.

Un’altra causa di cui si parla è il permissivismo.
Se è vero che nel contesto più famigliare si riscontra una carenza di regole che forniscono un freno e un contenimento, è utile per il contesto extra famigliare adottare delle regole che contengano.
A volte, è proprio il loro comportamento senza freni, impulsivo, al limite, che dice del forte bisogno di contenimento, come una sorta di richiesta di aiuto in tal senso: “fermatevi voi, aiutatemi a fermarmi”.
Se alla base del rapporto con l ‘altro vi è uno spazio di comunicazione, allora le regole possono essere condivise e concordate da entrambe le parti, come si fa coi bambini per educarli.
Ovvio che è un lavoro che richiede tempo e dedizione, ma può essere costruito dalle varie figure educative e non, che stanno in relazione col bullo.
Vi sarà una continua sfida e lotta per il potere da parte sua, poiché la spinta innata a prevaricare lo porterà a comportarsi in tal modo.
Sta all’adulto dall’altra parte il tollerare la continua sfida e porsi come una figura autorevole e non autoritaria, poiché è solo con l ‘autorevolezza che si può stabilire un contesto di rispetto di questo tipo.

La mancanza di empatia è un altro possibile spunto di lavoro.
Ai bulli sembra mancare questa competenza emotiva, che si sviluppa già nella prima infanzia.
Aiutarli a comprendere come si sente l’altro, attraverso il dialogo, la riflessione, l’immaginazione, la lettura di storie e la comprensione guidata, i giochi sociali che sviluppano le capacità prosociali, sono esempi sui quali si può aiutare il bullo a far spazio dentro di sé al punto di vista emotivo dell’altro.
In questo lavoro, delicato ed impegnativo, è necessaria la continuità, la perseveranza, la dedizione di figure educative, amici, conoscenti adulti, motivati in tal senso.
Ad esempio, pensando ad un gruppo di mamme che si trovano al parchetto e si trovano costantemente alle prese con un bambino che attua comportamenti da bullo verso i propri figli, è possibile pensare ad un loro intervento in tal senso, per aiutare il bambino in questione e proteggere contemporaneamente i propri figli.

Altri piccoli suggerimenti.
In qualsiasi ruolo voi siate, amici, conoscenti, famigliari, educatori o altro, non fateli sentire emarginati o stigmatizzati.
Non è semplice e a volte verrebbe da fare proprio il contrario, ma è proprio questo atteggiamento dell’altro che riflette poi un’immagine negativa di sé, presa dal bullo come unico modo per essere riconosciuto.
Si comprende come ciò alimenti un circolo vizioso.

Aiutateli a sviluppare un senso morale e sociale, attraverso il confronto, il dialogo, la riflessione, lo scambio di punti di vista: fornite il vostro a loro che potranno imparare ad averne uno diverso dal proprio o da quello che hanno sempre vissuto e condiviso.

La comunicazione con l’altro permette lo sviluppo di un senso integrato e coerente del Sé, pertanto se spesso manca il dialogo nel loro contesto quotidiano, aiutateli ad inserirlo come elemento fondamentale di una relazione costruttiva.

Come dicevamo poco fa, a loro manca l’empatia e la capacità di comunicare i propri sentimenti. Se vi è una lacuna in questo senso, di conseguenza la gestione dei conflitti diventa difficile.
Allora, li si può guidare nel trovare altri canali di sfogo delle emozioni, in primis della rabbia, a dare dignità e valore a questa emozione che comunque e’ un segnale importante del Sé e a riconoscere l’emozione dell’altro. Come? Il dialogo prima di tutto e, ad esempio, nel mettere delle parole laddove vi siano solo atteggiamenti ed agiti che per loro rimangono senza significato.