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I NUOVI PAPA’

papa3Secondo Margaret Mahler, psicoanalista, i bambini piccoli, nei primissimi mesi di vita, affrontano una fase detta ‘simbiotica’ durante la quale credono di essere un tutt’uno con il corpo della madre e dipendendo totalmente da essa.

Questo rapporto assolutamente funzionale al corretto sviluppo fisico e psicologico del bambino va oltre alla semplice funzione di assolvere alle necessità biologiche legate alla sopravvivenza: ciò di cui il bambino ha più bisogno per un corretto sviluppo psicologico è il soddisfacimento ‘fisico’ del bisogno di affetto, tenerezza, amore ottenuto attraverso il contatto e l’interazione con la madre.

La mamma è indiscutibilmente la “fonte” del sostentamento fisico e psicologico del bambino e nessuna scienza potrà mai spiegare la magica empatia che lega una madre al suo piccolo.

In questo rapporto simbiotico tra madre e figlio, che ruolo ha il padre? Sapete che già dalla terza settimana di vita i bambini hanno reazioni diverse a seconda che si trovino in presenza della madre o del padre?

Questo avviene perché entrambi i genitori si relazionano al bambino in modo diverso: la madre per curare e calmare, il padre per giocare e stimolare; alla madre spetta, attraverso la soddisfazione del bisogno di nutrizione, trasmettere il messaggio dell’essere amati, di essere appunto “nutriti di amore”, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è; ma è la presenza del padre a dare l’imprinting ai futuri rapporti sociali del bambino con il resto del mondo.

Sul rapporto col padre si basa buona parte dell’autostima che il bambino avrà verso se stesso.

Questa funzione si amplifica se si parla di bambine. Infatti, il padre è il primo uomo con cui una bambina interagisce, e sarà proprio questa figura ad influenzare i rapporti futuri con qualsiasi altra figura maschile con cui si relazionerà.

Nella storia dell’umanità, la cura della prole è sempre stata compito delle donne, mentre l’uomo era considerato fondamepapa1ntale per il sostentamento economico della famiglia. Ora, sembra che un lento ma costante mutamento all’interno dei costumi sociali abbia risvegliato nel maschio un insospettabile istinto paterno latente.

Ricerche attuali confermano come la maggior parte dei papà di oggi si occupano del loro bambino, facendogli il bagnetto, portandolo a letto la sera e accudendolo come di solito fa una mamma.

È scientificamente provato: l’uomo contemporaneo, dopo secoli di esclusione dall’educazione e crescita della prole, è giunto alla consapevolezza che partecipare attivamente alla crescita e all’educazione dei propri figli non rappresenta solo un bene per il bambino ma soprattutto si rivela fonte di soddisfazioni per il padre stesso.

Non pensate che ciò possa avere un affetto benefico anche all’interno della relazione della coppia mamma-papà?

Io credo che, se i compiti ‘famigliari’ vengono divisi equamente, vi sia anche una maggiore serenità all’interno della famiglia stessa.

E questi nuovi padri, possono essere intesi come figure sostitutive della mamma?

Io credo sia importante non confondere i ruoli!

Non bisogna dimenticare che il padre è simbolicamente la figura che funge da guida, è il tutore delle norme, delle regole sociali da rispettare, dei diritti e dei doveri, è il responsabile del necessario distacco tra il bambino e la madre, fondamentale affinché il bambino possa fare il suo ingresso nel mondo esterno. E rinunciare allo storico ruolo autoritario della figura paterna non vuol dire perdere la componente di autorevolezza che aiuta il bambino a crescere emotivamente equipaggiato per affrontare con sicurezza e serenità il mondo esterno.

Io credo che il suo ruolo vada letto come “completamento” della madre.

Un padre a 360 gradi, ovvero padre, marito e uomo, che ha un suo ruolo ben definito accanto alla madre, con la quale crea un rapporto di cooperazione volto a coprire i ruoli di ognuno secondo la propria sfera d’azione all’interno di un unico contesto quale è la famiglia, rendendosi l’uno insostituibile all’altro.

E cosa succede allora quando un papà è “assente”?

Possiamo già affermare che esiste una differenza significativa tra i figli maschi e femmine rispetto alla ripercussione emotiva dell’assenza del padre.
I ragazzi sono generalmente colpiti più duramente.
Tendono generalmente ad avere difficoltà a concentrarsi a scuola,
disturbi con deficit di attenzione e iperattività e disagi a livello della condotta, mancando l’assetto autorevole del papà.


La mancanza del padre aumenta significativamente la probabilità che un ragazzo agisca la rabbia ed è molto comune per le madri avere difficoltà a gestire in particolare i ragazzi adolescenti senza padre.
Le ripercussioni più gravi si hanno anche a livello dell’
identità maschile: mancando un riferimento adulto maschile, spesso la costruzione dell’identità, che è già di per sè un processo complicato, risulta altrettanto difficile e spesso il risultato è una confusione identitaria.

In aggiunta, si crea un fortissimo legame con la figura materna che, a volte, può diventare quasi fusionale: il padre ha proprio il compito di inserirsi in questo legame e facilitare il passaggio da una relazione a due a una relazione a tre e, se manca, ciò risulta difficile.
Fra le ragazze, gli effetti dell’assenza del padre sono spesso traslati nel tempo durante la pubertà.
Agiscono spesso in quel periodo un
comportamento sessuale esageratamente seduttivo e promiscuo e le difficoltà nel formare rapporti sani e durevoli con gli uomini sono molto comuni, proprio perchè è mancato, o è stato scarso, il primo modello di relazione con un maschio, cioè con il padre.

Sono certo riflessioni generiche e non è detto che per forza debba andare così.

Altrettanto certa è l’importanza della figura paterna per i bambini e il poter coltivare con loro questa relazione!

IL PERIODO DI CRISI A SCUOLA: PERCHE’ SI MANIFESTA E COME GESTIRLA

bimbi tristiA volte i bambini si trovano ad affrontare delle sfide sul piano affettivo e relazionale, che mettono a dura prova il loro equilibrio emotivo.
Sto pensando ai diversi passaggi di vita che, se da una parte si presentano al bambino come un grande ostacolo, dall’altra rappresentano una grossa occasione di crescita.
L’inserimento alla scuola dell’infanzia o alla scuola primaria ne sono due esempi.

La “crisi” coinvolge non solo il bambino, ma anche le figure di accudimento intorno a lui.
Ed ecco che allora succede che i bambini iniziano a manifestare il loro disagio, attraverso il pianto, il rifiuto di andare a scuola, le lamentele sul piano fisico a volte usate come ottimo motivo per stare a casa, il croggiolarsi in un atteggiamento cupo e triste o, viceversa, l’espasperare comportamenti nervosi, agitati.
D’altra parte, a volte succede che il dispiacere contagi anche i genitori, i quali raccontano di un vissuto di tristezza e malinconia nel vedere il loro cucciolo andare a scuola, realizzando consapevolmente il suo percorso di crescita.

Ma cosa succede a livello più inconsapevole? E perché si attiva tutto questo?
Nel bambino e nei genitori sembra attivarsi l’ansia del sentirsi separati, come se questo distacco, creato dall’inserimento a scuola, fosse vissuto come un grosso vuoto tra loro.
E se la famosa “crisi” inizialmente rappresenta anche un modo sano per elaborare e digerire il distacco, se perdura nel tempo e non viene superata può rappresentare lo svilupparsi di un disagio.
Ma che cos’è l’ansia da separazione?
John Bowlby, nel 1951, individua un periodo particolarmente critico per il bambino in caso di privazione materna, ovvero tra i 6 mesi e i 3/4 anni, dove la reazione al distacco si manifesta con una fase di protesta, poi di disperazione e infine di distacco. Nel’ 59, Bowlby chiama questa risposta “angoscia di separazione” che, come dicevo, può essere funzionale per l’adattamento se di lieve intensità e durata; viceversa, può rappresentare un disagio se intensa e persistente.
In questo caso, in occasione delle separazioni in generale, come ad esempio quella rappresentata dall’inizio della scuola, il bambino manifesterà la sua sofferenza, come prima descritto.

Come si può evitare di cadere in questa seconda alternativa?
Nei primi anni di vita, le cure e l’amore genitoriale forniscono al bambino la “base sicura” che permette lo svilupparsi di un “attaccamento sicuro” tra di loro. Questa sicurezza emotiva, che passa dalla figura di accudimento primario al bambino, fa sì che lui possa più facilmente stare da solo con se stesso ed esplorare con più serenità l’ambiente circostante.
Ecco perché nelle scuole vediamo bambini che più facilmente tollerano il distacco dai genitori, mentre altri che fanno maggiormente fatica.
Ed ecco perché è fondamentale che i genitori riescano a trasmettere questa sicurezza emotiva nei primi anni, attraverso una presenza calda, attenta, rassicurante e che risponda ai bisogni del bambino in modo esaustivo.
La relazione primaria col genitore fa da specchio a tutte le altre e allora, se il bambino cresce con uno stile di attaccamento sicuro riuscirà più facilmente anche a far entrare altre relazioni nel suo mondo affettivo. Penso a quei bambini che facilmente riescono a passare dalla mamma, come base sicura, alla maestra e trovare qui, in questa figura, il sostegno emotivo necessario per affrontare la crescita sia sul piano relazione che didattico.

E come si fa con le eventuali ansie della mamma e del papà?
Vale lo stesso discorso. Se i genitori hanno potuto sperimentare un legame sicuro con le loro figure di accudimento allora il distacco dai propri figli avvera’ più facilmente.
Se invece risentono della capacità di separarsi dalle loro figure di accudimento, questo puo’ complicare il distacco che dovranno prima o poi operare con i propri figli.
Penso che, nel caso in cui questo passaggio sia davvero tanto complicato, sia utile una terza figura che aiuti nel districare questo nodo legato al timore dei distacchi.