Categoria: Couples Therapy
LA LUNGA ATTESA DELLA GRAVIDANZA: QUALI FATTORI POSSONO ESSERE IMPLICATI.
“Questo bambino non vuole proprio arrivare!”: queste sono le parole di Iris, alla ricerca di una gravidanza da circa un anno, ad oggi alle prese con lo sconforto, la rabbia, l’impotenza legate a cio’. Ogni gravidanza è unica. A volte la cicogna arriva subito, altre volte si fa attendere. In questo secondo caso, una donna potrebbe scontrarsi con ansie e preoccupazioni profonde.
In primis, se un bimbo non arriva, una donna potrebbe pensare di non essere una buona madre, capace di dar vita ad una creatura e occuparsi di lei. Questa convinzione potrebbe radicarsi dentro le fantasie inconsce della mente e autoalimentarsi dell’assenza reale del bambino stesso.
Winnicott, illustre pedietra e psicoanalista, parla di una madre “sufficientemente buona” per il suo bambino, ovvero in grado di occuparsi di lui in modo sufficiente. Ma come fa una donna a soddisfare questo standard? Come si crea la stima di sé come madre?
Per rispondere a questa riflessione, dobbiamo fare un passo nella generazione precedente per passare da Iris alla sua mamma. Vi racconto la sua storia. Iris, che oggi ha 36 anni, tempo fa è stata una bambina. È stata accudita dai suoi genitori e, in particolare, dalla nascita e nella primissima infanzia, ha potuto godere delle cure della sua mamma in modo esclusivo. La sua mamma era sempre presente, forse troppo in alcuni momenti. Iris è cresciuta, passando da una tappa di sviluppo all’altra, senza troppe difficoltà, se non quella di sentirsi molto dipendente e, forse, ancora un po’ piccola. Ha sempre conservato dentro di sé una parte infantile molto accentuata. Anche da adulta, ad esempio, non ha mai goduto di una reale indipendenza né lavorativa né affettiva. Ha sempre sentito dentro di sé il forte bisogno di un altro accanto, di qualcuno che si prendesse cura di lei, che la amasse in modo esclusivo. Ripetendo, in tal modo, l’accudimento materno ricevuto. Ha avuto fortuna in questo, poiché ha trovato una persona che si incastrava perfettamente con queste sue esigenze. La difficoltà è arrivata al momento della decisione di diventare lei stessa madre. Intrappolata tra il desiderio di esserlo e la paura, inconscia, di diventarlo, ha dato vita ad un corto circuito emotivo interno, che ha bloccato la naturalezza della creazione. Mettersi nei panni di “madre”, assumere una nuova identità, più adulta, indipendente, affettivamente matura, si è scontrato con i suoi bisogni più infantili di figlia, con il desiderio inconscio di restare piccola, affettivamente dipendente dall’altro. Il prezzo da pagare per Iris era troppo, ovvero quello di perdere i privilegi dell’accudimento, per offrire lei stessa accudimento all’altro, al proprio bambino. Questo pensiero, che origina nella sua mente, ha bloccato il processo della gravidanza, nel suo corpo, per diverso tempo. Solo la consapevolezza di questo attrito interno di pensieri e vissuti ha fatto sì che si sbloccasse il nodo che si era creato.
Questo è solo un esempio di quelle che possono essere le ansie e le preoccupazioni di una futura mamma, influenti sul concepimento.
MAMMA E PAPA’ SI SEPARANO: QUANDO E COME DIRLO AL BAMBINO.
La domanda che questa mamma si porta dietro ormai da tempo è: “lo dico o non lo dico al mio bambino che io e il suo papà ci stiamo separando?!”.
A quante di voi è già capitato di chiedersi questo?
La preoccupazione di questa mamma era di ferire cio’ al suo bambino, di dargli un dolore grosso inelaborabile, di distruggergli il mondo incantato dell’infanzia nel quale viveva.
Questo bambino aveva circa 7 anni e la sua mamma ed il suo papà discutevano della separazione da circa un anno.
Il papà diceva che non erano presenti liti in casa, discussioni dai toni accesi, musi lunghi o qualche altro atteggiamento che potesse far pensare ad una mamma e ad un papà che non vanno più d’accordo.
Questo papà avrebbe voluto tardare il momento di comunicare al bambino la decisione di separarsi.
La mamma aveva invece il dubbio che il bambino avesse capito o, quantomeno, intuito qualcosa a riguardo.
Allora, come fare in questi casi? Quando va comunicata la scelta? Come va comunicata? I bambini capiscono lo stesso?
Partiamo dai bambini.
Io credo che, a modo loro, ai bambini arrivino dei messaggi, anche non espliciti, legati al fatto che in casa, tra mamma e papà, c’è qualcosa che non va.
Nonostante l’assenza di chiare liti o il clima di apperente serenità che i genitori cercano di mantenere, l’atmosfera emotiva e relazionale anche inconscia presente tra i due genitori non può eludere la diversità.
Ovvero, la relazione nella coppia cambia. Affettivamente non sono piu’ presenti i sentimenti tipici della relazione coniugale ma ne subentrano altri che dipingono una relazione a volte amicale, a volte tra estranei, a volte tra due guerrieri che faticano a condividere il minimo indispensabile.
Tutto ciò, nonostante le varie strategie adottate per proteggere i propri figli, ai bambini arriva dritto al cuore.
A volte, loro non chiedono, altre si’.
Quando non chiedono, non vuol dire che non abbiano capito, che non abbiano interesse a comprendere cosa sta succedendo.
Anzi. Spesso non chiedono perché vorrebbero sapere, ma hanno paura delle risposte, perché non vogliono aprire il vaso di Pandora finora rimasto ben chiuso, perché non vogliono sentirsi poi responsabili di un cambiamento distruttivo dell’ideale di famiglia che ogni bambino ha.
Tutto ciò li spaventa molto.
E spaventa anche i genitori che sono spesso, ma non sempre, consapevoli che la separazione tra loro fa cadere l’illusione di una mamma e di un papà che staranno insieme per sempre, cosa che tutti i bambini vorrebbero.
Ho scritto “non sempre consapevoli” perché, invece, a volte capita di pensare che i bambini sono in grado di superare tutto, che una separazione coniugale non è poi così un trauma, che mamma e papà ci saranno in ugual modo e quindi non cambia nulla.
Penso che per un bambino la separazione sia sempre un cambiamento della routine familiare che mina la stabilità e quindi il senso di sicurezza e fiducia di sé e negli altri.
Detto questo, è importante comunicare al proprio bambino cosa sta succedendo.
Anche il non sapere lascia spazio alle fantasie e un bambino, non capendo cosa sta succedendo, può pensare che succeda davvero di tutto, può avere delle fantasie distruttive, delle fantasie di perdita, di solitudine, di angoscia.
Il sapere, invece, rassicura, dà il senso di un maggior controllo.
Credo che la scelta di comunicare al bambino la decisione di separarsi debba essere fatta quando ormai è chiaro per entrambi i genitori di proseguire in questo senso. Sembra scontato ma, a volte, non è proprio così, ovvero c’è un chiaro periodo di crisi, la minaccia di separarsi, ma poi tutto rientra.
Una volta presente questa consapevolezza, in base alla comprensione emotiva e cognitiva del proprio bambino, sarebbe meglio comunicare la scelta in modo semplice e, soprattutto, veritiero.
L’età del bambino è una variabile presente rispetto alle scelta delle parole da utilizzare.
Il contenuto della comunicazione varia in base alla storia della famiglia.
In ogni caso, è importante fornire un perché, una motivazione che, in qualche modo, giustifica la scelta e toglie il bambino dal senso di colpa e responsabilità.
È importante comunicare anche i sentimenti, ovvero come si sentono la mamma ed il papà, come può sentirsi lui.
È importante anche dire cosa succederà, come potrà sentirsi, quali saranno i cambiamenti, dando spazio alle preoccupazioni del bambino, ai dubbi, alle paure, alla rabbia e rassicurandolo sulla presenza costante dei suoi genitori per lui.
La separazione è della coppia coniugale, non della coppia genitoriale. E questo messaggio deve arrivare al bambino!
NELLA MENTE DEI NEO GENITORI
Quando una coppia sceglie di allargare la famiglia e avere un bambino, in genere, è una decisione presa con entusiamo, che alimenta gioia e serenità.
Quando il neonato arriva l’atmosfera elettrizzante persiste ma può accompagnarsi, a volte, alla presenza di sentimenti ambivalenti.
Che cosa di intende con questo termine?
In particolare per la donna, già durante la gravidanza, possono emergere sentimenti “negativi” verso il bambino o verso l’essere madre.
Si possono tradurre ad esempio in pensieri come “non sarò una buona mamma”, “e se piange molto cosa faccio?!”, “dovrò fare tutto da sola?!”, “non sono sicura di aver preso la decisione giusta”, “forse dovevamo aspettare ancora un po’”.
Sono pensieri e sentimenti che possono descrivere una sorta di “rifiuto” della gestazione stessa, del bebè in arrivo e della nascita della donna come madre.
Sono pensieri e sentimenti tipici, nel senso che molte mamme li hanno pensati e provati e sanno che passano una volta riassestato l’equilibrio della nuova famiglia che si è formata.
Allo stesso modo, anche il padre può provare le stesse sensazioni. Ci sono degli studi che affermano come un uomo realizzi maggiormente l’idea di essere diventato padre appena vede il suo bambino, al momento della nascita.
Non tutte le persone sono uguali, per cui ritengo non si possa fare un discorso valido per tutti. Ci sono anche molti papà che hanno una sensibilità acuta e sono molto in sintonia con la madre e con il bambino già durante l’attesa.
In ogni caso, da dove arrivano questi vissuti?
Dal passato del genitore. Il passato di ognuno ha sempre un’influenza di qualche tipo sul presente, sulle relazioni. Il diventare genitori è una trasformazione psichica che muove molti aspetti del passato, ovvero, a livello inconscio la regressione psichica permette ai genitori di sentirsi bambini, come lo erano un tempo, di identificarsi e mettersi nei panni dei propri genitori, per capire che tipo di genitori vogliono essere loro.
Insomma, una serie di movimenti, non proprio semplici, che giustificano il periodo sensibile e delicato che un uomo e una donna attraversano.
Per tali motivi, è molto importante che tra la coppia ci sia un equilibrio solido, già prima dell’arrivo di un bebè e siano risolti, in parte, i conflitti emotivi che il passato di ognuno porta nel presente nella relazione di coppia.
“Sei come mia madre!”: prendo la frase come esempio per dire di come le relazioni che una persona intrattiene nel passato con i propri genitori, si ripropongano similmente con il proprio partner nell’attuale.
Nello sconvolgimento dei ritmi legati all’arrivo del bebè, la parola chiave per sostenere l’equilibrio di una coppia è “capirsi “.
L’incomprensione e il non sentirsi capiti sono spesso alla base delle liti nelle coppie. Esprimono due cose differenti, ma strettamente interconnesse, poiché la prima sembra più affine alla concretezza, all’oggettivita’ (non c’è stata effettivamente comprensione), mentre la seconda ad un vissuto, ad un qualcosa di soggettivo (sento che non mi capisce).
Allora come allenare questa capacità presente in ognuno di noi?
Ci vuole una buona capacità autoriflessiva, ovvero l’essere consapevoli di come funzioniamo nelle relazioni con l’altro. La si puo’ allenare o sviluppare guardandoci da lontano, per poterci osservare e capire piu’ attentamente, nel meglio di noi ma anche nei nostri punti critici.
Ci vuole anche una buona empatia e “teoria della mente”, ovvero la capacità di comprendere che cosa succede nella mente dell’altro, intuendo i suoi pensieri e le sue emozioni. La si può allenare o sviluppare cercando di mettersi nei panni dell’altra persona, chiedendosi cosa pensa e prova in quella determinata situazione.
Questi piccoli allenamenti, a volte non semplici per qualcuno, possono salvare la coppia per quanto riguarda la questione del capirsi, soprattutto in un momento critico come il diventare genitori.