Categoria: Individual Treatment

I bambini che fanno i “piccoli”

La psicologia dello sviluppo delinea delle fasi di crescita e delle tappe evolutive tipiche dei bambini dalla nascita fino all’adolescenza.
Ovviamente, sono da intendersi come una sorta di “linee guida”, nel senso che ci sono i bambini che le rispettano appieno, ci sono i bambini la cui crescita è ballerina, ci sono i bambini che appaiono come in ritardo rispetto alla classica tappa.
Questi tipi di ritardi possono essere intesi come fisiologici oppure come affettivi.
Nel primo caso, l’evoluzione avviene spontaneamente, mentre nel secondo caso possiamo trovarci di fronte ad un “blocco” nella crescita.
Penso a tutti quei bambini, ad esempio nella fascia d’età 3-6 anni, che appaiono più piccoli, nei comportamenti, nello sviluppo delle autonomie, nel linguaggio, nell’autoregolazione delle emozioni, nell’interiorizzazione delle regole, nello sviluppo delle relazioni sociali.
Questi sono gli ambiti dove, maggiormente, possono osservarsi dei blocchi o dei ritardi di crescita.
Tre spunti di riflessione: perchè avviene questo? Come stanno i bambini a riguardo? Cosa si può fare?
Rispetto alle motivazioni che possono spiegare quanto detto ce ne sono davvero molte.
In primis possiamo pensare agli effetti della pandemia e, in particolare, del lockdown: si è bloccato tutto, non solo la realtà esterna ma, in molti casi, quella interna intesa come la crescita dei bambini, che è andata incontro ad una regressione, per cui certe tappe, ormai acquisiste e anche consolidate, sono andate perse.
Altre spiegazioni possono essere ricercate nelle dinamiche relazionali presenti tra i bambini e i genitori. Per numerose cause, potrebbe essere che un bambino espliciti il suo bisogno di rimanere piccolo con alcuni comportamenti che trasmettono questo messaggio. Allo stesso modo, nei genitori potrebbe manifestarsi il bisogno di vedere o sentire ancora piccolo il proprio bambino per cui si relazionano ad esso in tal modo, frenando la crescita. In altri casi, invece, potrebbe essere presente una sorta di “trascuratezza”, ovvero una fatica del genitore a comprendere i bisogni del bambino e a rispondervi in modo consono: non per cattive intenzioni, ovviamente, ma semplicemente perchè va bene così, il problema non viene visto, oppure viene percepito ma lasciato in un angolino, magari per paura di affrontarlo.
Tutte ipotesi che, fortunatamente, si possono osservare e “curare”.
In queste situazioni, i bambini possono stare bene, come no.
Nel primo caso, stanno “bene” perchè possono beneficiare di maggiori attenzioni, ad esempio, o essendo trattati come più piccoli, possono beneficiare di cure intense, in termini di qualità e tempo, tipiche dei bambini piccoli.
L’altra faccia della medaglia però esiste e si vede ad esempio nella differenza che i bambini possono percepire rispetto ad altri bambini, facendo così emergere temi quali il sentirsi diversi, incapaci di, ancora dipendenti, “piccoli” nel senso critico del termine, come lo intendono i bambini quando si prendono in giro.
D’altro canto, sul versante psicologico, questa condizione potrebbe incistarsi a livello psichico e far permanere il blocco.
Cosa si può fare allora?!
Intanto poter vedere quanto succede è già un buon primo passo. Per alcuni genitori è faticoso e magari doloroso prendere coscienza di alcuni aspetti difficili del proprio bambino, per cui è ammirevole già solo aprirsi alla possibilità.
Il confronto con l’altro è indispensabile per capire: i bambini trascorrono la maggior parte del tempo nella scuola dell’infanzia, per cui è utile poter avere in mente il punto di vista del personale scolastico rispetto alla crescita del bambino.
Il punto di vista anche dello specialista chiude il cerchio e poter pensare ad un lavoro di squadra su più fronti permette sicuramente un cambiamento.
Sul piano pratico, qualora si rilevasse il problema è utile poter adottare tutti quei cambiamenti, nello stile di vita e di relazione, che possono facilitare la crescita e lo sblocco del bambino.
Sono altrettanto utili le letture, che permettono di arrivare a dirsi delle cose, laddove la parola non arriva.

Un salto nel buio?

 

 

 

 

 

 

I bambini sono prossimi a rientrare a scuola e le maestre, dopo così tanto tempo, finalmente sono pronte ad accoglierli nuovamente, come i genitori a lasciarli nelle loro braccia.
Ma come se lo immaginano questo rientro i bambini?
Quali i pensieri e quali le emozioni?
A cosa andranno incontro?

 

 

Lo scenario è il seguente.
I nostri cuccioli erano abituati ad una routine, quella quotidiana, che prevedeva andare a scuola, salutare i genitori, lasciarli per un periodo più o meno lungo, rivederli e tornare a casa con loro per concludere la giornata.
Arriva i lockdown.
Genitori e bambini si ritrovano a casa. Inizialmente solo a casa, h 24, tutti assieme.
Inizia qualche riapertura e qualche genitore rientra al lavoro, affidando il bambino, per un tempo più o meno lungo, ad una figura di accudimento specifica.
In altre famiglie, invece, prosegue una sorta di lockdown, inteso come lo stare assieme, a volte ancora h24, ma con la possibilità di uscire da casa.

Nella mente dei bambini, tutto ciò ha significato una rivoluzione dal punto di vista degli affetti e delle relazioni, ovvero un passaggio da una separatezza affettiva dal caregiver, elaborata, appresa e funzionale, ad una vicinanza quasi simbiotica, tipica dei bebè.
E’ anche per questo motivo che si vedono oggi molti bambini regrediti su diversi piani, a livello di alcuni comportamenti e nei passaggi di crescita.
Il lockdown è stata, nella mente del bambino, una sorta di lunga vacanza.
I genitori, e anche le maestre, sanno che bene che, dopo una vacanza, una pausa, più o meno lunga, su alcune dinamiche, su alcune conquiste di crescita, spesso bisogna un pò tornare indietro.
Il mio pensiero, in questi casi, è che il tornare indietro serve per andare avanti, magari anche con qualche qualità aggiuntiva, e non è mai una regressione agli inizi.
Questi sono quindi i nostri bambini di oggi.
In questi giorni devono affron

 

tare l’esperienza del ritorno a scuola.
Per alcuni di essi è un tornare, per altri è una nuova esperienza.
Ogni scuola ha le sue regole per quanto riguarda la situazione Covid-19.
Alcune insegnanti porteranno la mascherina, altre la visiera.
In alcune scuole, l’accesso del genitore è limitato al triage o al parco esterno, in altre sarà concesso l’accompagnamento in classe, per un breve tempo.
I bambini cosa pensano a riguardo?!
Mettendoci un poco nei loro panni, possiamo forse riflettere su alcune questioni, da tenere a mente, affinché questo rientro possa essere più protettivo possibile per loro, e non un salto nel vuoto, sia nel caso in cui sia un rientro, sia, e soprattutto, nel caso in cui sia un nuovo ingresso.

 

In primis la mascherina e la visiera.
E’ vero che i bambini sono abituati a vedere gli adulti, e anche altri pari, con questi aggeggi, oramai conosciuti e non troppo spaventanti.
E’ altrettanto vero però che una mamma o un papà lasceranno il loro bambino, magari di 3 anni, affidato alla maestra, per loro una sconosciuta, che indossa tale protezione.
Quali fantasie avranno a riguardo?!
Nel caso della mascherina, i bambini non vedranno totalmente il volto di questa nuova figura di accudimento, quindi perderanno una gran parte del non verbale, delle sue espressioni emotive, di tutto quello che può comunicare attraverso metà volto.
Un’indicazione per le maestre per rendere più confortevole un primo distacco ed il soggiorno intero del bambino a scuola, potrebbe essere quella di compensare quest’assenza attraverso le parole, verbalizzando le proprie emozioni, comunicando al bambino con gli occhi, che sono un ottimo canale di espressione emotiva, piuttosto che con l’intero corpo.
I genitori possono rendere quindi attento il bambino a tali indicatori, aiutandolo così a conoscere il nuovo adulto di riferimento e a fidarsi di lui.

 

Conoscere l’ambiente è altrettanto importante.
I bambini sono più sicuri se hanno una minima idea del luogo in cui verranno portati.
Se questo luogo è poi visitato con un genitore, facilmente diventa un luogo affettivo sicuro e non un posto che può incutere paure.

E’ fondamentale curare i momenti di distacco, osservando come il bambino si comporta, più che quello che dice.
Osservando le sue emozioni, l’espressione di esse attraverso il corpo, cercando di capire il momento in cui è davvero a suo agio, ovvero quello giusto per poter salutare il genitore e passare nelle braccia della maestra.

 

Se il bambino non fosse pronto, lo si può aiutare con quegli oggetti che hanno proprio la funzione di passaggio, gli oggetti tradizionali.
Una copertina, un peluche, un qualsiasi oggetto che il bambino porta con sé sempre e che tranquillizza, rassicura, rende felici.
Può anche essere un oggetto che appartiene alla mamma o al papà, un braccialetto ad esempio, o una foto, un qualcosa che funga da ricordo del genitore e che colmi il vuoto che il bambino sente in sua assenza.

 

Quando il genitore torna a scuola, a fine giornata, oltre a recuperare il tempo mancato e quindi dedicargli dei momenti esclusivi, in assenza di fratelli o altri adulti, il cellulare o cose da sbrigare, può fare un ottimo lavoro di elaborazione della giornata con lui.
Può chiedere al bambino com’è andata la giornata, cos’ha fatto, ma soprattutto come si è sentito.
Può accoglierlo nelle sue emozioni, semplicemente stando in ascolto, aiutandolo a capirle, contestualizzandole, fornendo rassicurazione dove necessaria.

I bambini potranno manifestare delle piccoli crisi.
E’ del tutto normale. Direi che è il loro modo, sano, di elaborare questo distacco, di buttar fuori dei sentimenti sgradevoli, per poter andare avanti.
Qualche bambino potrà perdere dei comportamenti di crescita già acquisiti e tornare indietro nelle tappe di sviluppo, ad esempio chiedendo di dormire nel lettone.
Io credo sia importante poter assecondare le loro richieste, intese come bisogni specifici per questa fase, senza il timore di tornare troppo indietro o di sbagliare.
La cosa fondamentale per un bambino è esserci, in ascolto delle sue emozioni, assecondando, per quanto possibile, i suoi bisogni.

 

QUALE MECCANISMO SPINGE GLI ADOLESCENTI AD ARRIVARE A TANTO E COME UN GENITORE PUO’ INTERVENIRE.

Blue Whale, un fenomeno diventato una moda del momento tra gli adolescenti. Perchè ne sono così attratti? Cosa li spinge ad arrivare a tanto? Cosa può fare un genitore?
Partiamo dalla mente dell’adolescente. Esso si trova in un periodo di sviluppo dove gli è possibile costruire sistemi e teorie e ciò gli permette di sperimentare una fase di idealismo ed onnipotenza del pensiero, a cui la realtà, secondo loro, dovrebbe adattarsi (Piaget). La difficoltà a mentalizzare, la tendenza ad essere impulsivi, lo scarso controllo degli impulsi, la disregolazione affettiva e, a volte, gli elevati livelli di rabbia formano un cocktail che può essere esplosivo.
Quello che tutti si chiedono, ovvero il perchè non si fermano di fronte alle richieste di questo gioco, è spiegato da questi fattori. Loro credono di poter controllare la realtà, le loro azioni, faticano a dare un vero significato a quello che sta succedendo e la parte pulsionale li conduce ad attuare dei gesti gravi.
Questi atti autolesivi, ai quali i ragazzi acconsentono, vengono definiti “velleità suicidarie”. Non sono “solo” dei modi per farsi del male. Ciò sottovaluta il significato implicito. Dal mio punto di vista, possono essere considerati dei veri e propri tentativi di suicidio.
E questi tentativi sono legati ai suicidi conclamati, divenuti attualmente la terza causa di morte per i giovani fra i 15 e i 24 anni (Maggiolini).
Quest’altro argomento apre qualche riflessione. E’ connesso alla capacità di accettare l’idea dell’ineluttabilità della propria futura morte. Ciò costituisce un momento evolutivo della crescita in quanto segnala l’accettazione dei limiti posti dalla realtà della vita, la caduta dell’onnipotenza sopra accennata, una genuina e attiva accettazione della vita attraverso la rappresentazione mentale della possibilità del suo contrario (Pandolfi e Senise).
Quando tutto questo processo si blocca è come se l’adolescente rimanesse ancorato alla sua onnipotenza, ovvero alla capacità di sfidare la morte, di vincere su di essa, come se fosse una sfida e non un qualcosa di naturale. Questo spiega il perchè esso accetti le sfide autolesive proposte dal gioco e, soprattutto, la sfida di sè contro la morte stessa.
C’è un altro punto importante alla base di questa dinamica. Ovvero, il rapporto con il proprio corpo ed il bisogno di attaccarlo e distruggerlo.
Gli adolescenti sono alla prese con l’adattamento e la costruzione della loro identità affettiva, relazionale, psichica e corporea. Lasciare il corpo e la mente del bambino che sono stati per indossare un corpo ed una mente pseudo adulti è un passaggio di crescita delicato. Viene vissuto come una sorta di lutto, accompagnato da sentimenti di malinconia, tristezza, depressione. Gli atti autolesivi, i tentativi di suicidio, la morte stessa possono salvare dalla drammaticità di questo momento. Di nuovo, si tratta di una fantasia magica ed onnipotente.
Detto ciò, il genitore ha un ruolo fondamentale e difficile.
L’osservazione e l’ascolto empatico dei segnali, dei gesti, dei vissuti del proprio figlio non devono mancare. In questo periodo, i comportamenti tipici dell’adolescente, come ad esempio la chiusura verso l’adulto, possono essere facilmente fraintesi, ovvero è complesso attribuire ad essi un significato di normalità e di crescita oppure un significato di malessere e sofferenza. E’ importante non sottovalutare, negare, trascurare i messaggi impliciti sottesi a tali atteggiamenti.
Li si osserva, nel tempo, con attenzione empatica, li si monitora, si cerca di comprenderli, anche insieme all’adolescente per quanto possibile.
Spesso allontanano e rifiutano il genitore. Questo è quello che vogliono far vedere. In fondo, hanno bisogno della presenza, delicata e non intrusiva dell’adulto, hanno bisogno di regole e limiti che a volte chiedono a modo loro. Non gli piace, ma hanno bisogno di essere accompagnati anche alla scoperta del mondo di Internet, attraverso la presenza di un adulto aperto, che cerchi di entrare delicatamente nelle loro fantasie, nei loro vissuti, nella loro psiche per comprenderli e passar loro gli strumenti necessari per potersi proteggere anche da soli dalle minacce che la realtà gli sottopone.