Categoria: Psicologia Adolescenti

QUALE MECCANISMO SPINGE GLI ADOLESCENTI AD ARRIVARE A TANTO E COME UN GENITORE PUO’ INTERVENIRE.

Blue Whale, un fenomeno diventato una moda del momento tra gli adolescenti. Perchè ne sono così attratti? Cosa li spinge ad arrivare a tanto? Cosa può fare un genitore?
Partiamo dalla mente dell’adolescente. Esso si trova in un periodo di sviluppo dove gli è possibile costruire sistemi e teorie e ciò gli permette di sperimentare una fase di idealismo ed onnipotenza del pensiero, a cui la realtà, secondo loro, dovrebbe adattarsi (Piaget). La difficoltà a mentalizzare, la tendenza ad essere impulsivi, lo scarso controllo degli impulsi, la disregolazione affettiva e, a volte, gli elevati livelli di rabbia formano un cocktail che può essere esplosivo.
Quello che tutti si chiedono, ovvero il perchè non si fermano di fronte alle richieste di questo gioco, è spiegato da questi fattori. Loro credono di poter controllare la realtà, le loro azioni, faticano a dare un vero significato a quello che sta succedendo e la parte pulsionale li conduce ad attuare dei gesti gravi.
Questi atti autolesivi, ai quali i ragazzi acconsentono, vengono definiti “velleità suicidarie”. Non sono “solo” dei modi per farsi del male. Ciò sottovaluta il significato implicito. Dal mio punto di vista, possono essere considerati dei veri e propri tentativi di suicidio.
E questi tentativi sono legati ai suicidi conclamati, divenuti attualmente la terza causa di morte per i giovani fra i 15 e i 24 anni (Maggiolini).
Quest’altro argomento apre qualche riflessione. E’ connesso alla capacità di accettare l’idea dell’ineluttabilità della propria futura morte. Ciò costituisce un momento evolutivo della crescita in quanto segnala l’accettazione dei limiti posti dalla realtà della vita, la caduta dell’onnipotenza sopra accennata, una genuina e attiva accettazione della vita attraverso la rappresentazione mentale della possibilità del suo contrario (Pandolfi e Senise).
Quando tutto questo processo si blocca è come se l’adolescente rimanesse ancorato alla sua onnipotenza, ovvero alla capacità di sfidare la morte, di vincere su di essa, come se fosse una sfida e non un qualcosa di naturale. Questo spiega il perchè esso accetti le sfide autolesive proposte dal gioco e, soprattutto, la sfida di sè contro la morte stessa.
C’è un altro punto importante alla base di questa dinamica. Ovvero, il rapporto con il proprio corpo ed il bisogno di attaccarlo e distruggerlo.
Gli adolescenti sono alla prese con l’adattamento e la costruzione della loro identità affettiva, relazionale, psichica e corporea. Lasciare il corpo e la mente del bambino che sono stati per indossare un corpo ed una mente pseudo adulti è un passaggio di crescita delicato. Viene vissuto come una sorta di lutto, accompagnato da sentimenti di malinconia, tristezza, depressione. Gli atti autolesivi, i tentativi di suicidio, la morte stessa possono salvare dalla drammaticità di questo momento. Di nuovo, si tratta di una fantasia magica ed onnipotente.
Detto ciò, il genitore ha un ruolo fondamentale e difficile.
L’osservazione e l’ascolto empatico dei segnali, dei gesti, dei vissuti del proprio figlio non devono mancare. In questo periodo, i comportamenti tipici dell’adolescente, come ad esempio la chiusura verso l’adulto, possono essere facilmente fraintesi, ovvero è complesso attribuire ad essi un significato di normalità e di crescita oppure un significato di malessere e sofferenza. E’ importante non sottovalutare, negare, trascurare i messaggi impliciti sottesi a tali atteggiamenti.
Li si osserva, nel tempo, con attenzione empatica, li si monitora, si cerca di comprenderli, anche insieme all’adolescente per quanto possibile.
Spesso allontanano e rifiutano il genitore. Questo è quello che vogliono far vedere. In fondo, hanno bisogno della presenza, delicata e non intrusiva dell’adulto, hanno bisogno di regole e limiti che a volte chiedono a modo loro. Non gli piace, ma hanno bisogno di essere accompagnati anche alla scoperta del mondo di Internet, attraverso la presenza di un adulto aperto, che cerchi di entrare delicatamente nelle loro fantasie, nei loro vissuti, nella loro psiche per comprenderli e passar loro gli strumenti necessari per potersi proteggere anche da soli dalle minacce che la realtà gli sottopone.

ADOLESCENTI E SOCIAL NETWORK.

La diffusione dei Social Network al giorno d’oggi è di vasta portata. Sono pochi gli adolescenti, e addirittura i bambini nonostante l’esistenza di una legge che lo vieti per proteggerli, che non usano e non sono interessati a FaceBook, Instagram e compagnia.

Alcuni dicono di non poterne fare a meno, di vivere un sentimento di esclusione anche solo all’idea di non avere un profilo personale, di averne bisogno perché stare connessi permette loro di vivere le relazioni, di stare con gli altri, di parlare con gli amici, di non sentirsi esclusi.

Ed è proprio così: attualmente, sono degli strumenti di comunicazione e di relazione che permettono di stare in contatto con l’altro. Ad oggi, ha senso chiedersi cosa vuol dire “stare in relazione con l’altro”, ed è scontato affermare quanto sia cambiato il valore ed il significato della relazione.

Al di là di considerazioni di valore o di scelte, è fondamentale non dimenticare i rischi connessi all’uso dei Social, in particolare delle chat. Non tutti gli adolescenti ne sono al corrente e, in generale, vi è una scarsa consapevolezza a riguardo e addirittura un senso di incredulità.

Uno dei rischi è quello della dipendenza. Senza rendersi conto, i ragazzi trascorrono un’enorme quantità di tempo connessi in chat, chiacchierando con il migliore amico o conoscendo persone nuove. In chat è più facile: l’altro non si vede, è più facile comunicare ciò che si pensa perché è come scriverlo a se stessi, vi è il potere totale di decidere quando come a chi comunicare, con l’onnipotenza di sentire di poter gestire le relazioni.

Ma tutto ciò è illusorio. È vero che l’altro non si vede, ma quando lo si incontra quasi mancano gli strumenti per comunicare con lui i pensieri, le emozioni, i vissuti. L’incontro con l’altro, nella realtà, concretizza il fatto che l’altro davvero c’è e quindi la comunicazione diventa relazione, ovvero l’ascoltare l’altro, il capirlo, dovergli restituire un commento, una riflessione e non si può scegliere di aspettare un’ora o il giorno dopo, ma la relazione avviene nel qui e ora. L’incontro con l’altro pone dei limiti all’onnipotenza di gestire in senso unidirezionale la relazione e la sola percezione visiva dell’altro mette nella posizione di dover fare i conti con lui, con le sue emozioni, con i suoi pensieri, con i suoi vissuti. Gli adolescenti, rispetto a questo, sembrano ad oggi vivere un senso di inesperienza, di incapacità.

E quando l’altro è uno sconosciuto? Il rischio più grande è quello di essere in balia di una relazione che non si conosce, quindi che difficilmente si può gestire e controllare. Spesso gli adolescenti cadono nella trappola di incontrare lo sconosciuto con il quale hanno chiacchierato in chat, quasi con la totale fiducia nell’altro, senza pensare alla possibilità che l’altro possa aver mentito sulla propria identità, con l’illusione di conoscere le intenzioni dell’altro ed il senso di onnipotenza di poter gestire il passaggio da una relazione illusoria e virtuale ad una reale.

Allora, è fondamentale stare vicino agli adolescenti, metterli di fronte ai rischi che possono correre utilizzando senza consapevolezza questi strumenti, senza demonizzarli, perché hanno ragione quando dicono che sono utili e divertenti! Senza vietare o imporre, perché il divieto non fa altro che alimentare il senso di ribellione di un adolescente. Ma guidarli, in modo empatico, cercando di comprendere i loro bisogni, le loro difficoltà, il loro mondo: parlando con loro!

COSA CAMBIA NELLA MENTE DI UN PRE-ADOLESCENTE?

“Non so se mi sento ancora piccola oppure che sto crescendo”.
Questo è il pensiero tipico di molti pre-adolescenti, che si trovano intorno all’età delle scuole medie alle prese con un passaggio importante, ovvero l’abbandono del mondo dell’infanzia verso un mondo più adulto.
Per molti di loro questo passaggio può essere difficile e presentare qualche ostacolo.
Dunque, cosa rappresentano per loro questi due mondi?
Essere bambini rassicura, perché l’immaginario è quello dell’accudimento, ovvero l’idea di una mamma e un papà che si sono sempre, che supportano, sostengono, fanno per e con te.
Diventare adulti vuol dire, in parte e nel loro immaginario, cavarsela un po’ da soli. Ricordo una ragazzina che mi diceva che lei non aveva voglia di tornare a casa da scuola e cucinarsi da sola il pranzo e ricordava che qualche tempo prima erano sempre la mamma o la nonna ad occuparsi di questo aspetto. È banale?! Per loro no.
Le questioni del mondo adulto riguardano anche altro.
La stessa ragazzina era anche molto preoccupata per la sessualità. Ovvero, vedeva intorno a sé le sue amiche già alle prese con il fidanzatino, già incuriosite dell’argomento o già alle prime esperienze. D’altro canto, lei stava ancora coltivando le sue amicizie, non aveva alcun minimo interesse per la sessualità, la priorità era conservare il rapporto con le amichette.
Verrebbe da chiedersi: dove sta la regola?!
Difficile a dirsi. Credo che ad oggi, c’è chi arriva prima ad affrontare le suddette questioni e c’e’ che chi arriva dopo. Forse, non è tanto il momento in termini di tempistica, ma il come le si affrontano che fa la differenza.
Il tema della sessualità è molto ampio. Alcune adolescenti o pre-adolescenti di oggi hanno una visione libera dell’argomento, che le porta a sperimentare, fare delle prove senza troppi pensieri, spesso dimenticandosi della componente affettiva, ma trasformando il tutto in un gioco, con più o meno regole.
C’è chi è più pronto e si butta, c’è invece, come la ragazzina di cui sopra, che vede, ascolta, percepisce queste dinamiche, non le comprende sul piano cognitivo, emotivo e relazionale, e se ne allontana perché in fondo spaventano. Allora, a volte, meglio restare piccole, come pensano alcune di loro.
Di questioni legate a questo fragile passaggio di crescita ce ne sarebbero molte. In generale, credo sia importante per un genitore accompagnare il proprio pre – adolescente, facilitando il passaggio all’età più adulta, trasmettendogli la presenza costante, ovvero il supporto dove poter esprimere le proprie paure, capire le dinamiche complesse e sconosciute di un mondo nuovo, elaborare il lutto per la perdita del senso di sicurezza e protezione del mondo dell’infanzia.

ANCHE I BULLI HANNO BISOGNO DI AIUTO

bullo

Si parla molto del bullismo e, in particolare, di come questo fenomeno abbia un riscontro emotivo e psicologico sulle vittime.

Per limitare il fenomeno è molto importante sostenere, rinforzare e dare degli strumenti alle vittime per far fronte alle violenze che subiscono.
Ma è sufficiente?!
Bisognerebbe anche agire con chi attua questi comportamenti aggressivi, forse prima di tutto.

La letteratura parla indicativamente di due tipi di bulli.
Il bullo leader e quello ansioso.
Entrambi agiscono comportamenti aggresivi di diverso tipo, ma se il primo agisce anche verso gli adulti, senza averne il minimo timore e senza mostrare la minima preoccupazione verso chi può rappresentare un’autorità, il secondo mostra una maggiore sensibilità verso il giudizio dell’adulto, il suo pensiero e ciò che potrebbe conseguire alle sue azioni.
Il risultato a volte non cambia il destino di alcune vittime, ma questa è una sfumatura importante che permette di fare delle riflessioni su come aiutare i bulli a comprendere le loro azioni e limitarle.

Partiamo dalle ipotetiche e generali cause per cui un bambino o un ragazzo abbia bisogno di comportarsi da bullo, fermo restando che ogni caso è a sé.
I diversi studi del fenomeno confermano la presenza di carenze affettive nella storia di crescita di questi bambini e ragazzi.
Il termine “carenze” è vago e può riguardare vuoti affettivi di diverso tipo.
Se sappiamo che esistono queste lacune alla base, allora è importante aiutare il bullo a colmarle, a sentirle di meno, a comprendere, ad elaborarle.
A causa del loro atteggiamento, vengono spesso emarginati dal gruppo non solo dei pari ma anche degli adulti.
Forse vale la pena riflettere sul fatto di adottare un approccio relazionale più accogliente e comprensivo da parte di chi quotidianamente si rapporta a loro, per aiutarli in tal senso.

Un’altra causa di cui si parla è il permissivismo.
Se è vero che nel contesto più famigliare si riscontra una carenza di regole che forniscono un freno e un contenimento, è utile per il contesto extra famigliare adottare delle regole che contengano.
A volte, è proprio il loro comportamento senza freni, impulsivo, al limite, che dice del forte bisogno di contenimento, come una sorta di richiesta di aiuto in tal senso: “fermatevi voi, aiutatemi a fermarmi”.
Se alla base del rapporto con l ‘altro vi è uno spazio di comunicazione, allora le regole possono essere condivise e concordate da entrambe le parti, come si fa coi bambini per educarli.
Ovvio che è un lavoro che richiede tempo e dedizione, ma può essere costruito dalle varie figure educative e non, che stanno in relazione col bullo.
Vi sarà una continua sfida e lotta per il potere da parte sua, poiché la spinta innata a prevaricare lo porterà a comportarsi in tal modo.
Sta all’adulto dall’altra parte il tollerare la continua sfida e porsi come una figura autorevole e non autoritaria, poiché è solo con l ‘autorevolezza che si può stabilire un contesto di rispetto di questo tipo.

La mancanza di empatia è un altro possibile spunto di lavoro.
Ai bulli sembra mancare questa competenza emotiva, che si sviluppa già nella prima infanzia.
Aiutarli a comprendere come si sente l’altro, attraverso il dialogo, la riflessione, l’immaginazione, la lettura di storie e la comprensione guidata, i giochi sociali che sviluppano le capacità prosociali, sono esempi sui quali si può aiutare il bullo a far spazio dentro di sé al punto di vista emotivo dell’altro.
In questo lavoro, delicato ed impegnativo, è necessaria la continuità, la perseveranza, la dedizione di figure educative, amici, conoscenti adulti, motivati in tal senso.
Ad esempio, pensando ad un gruppo di mamme che si trovano al parchetto e si trovano costantemente alle prese con un bambino che attua comportamenti da bullo verso i propri figli, è possibile pensare ad un loro intervento in tal senso, per aiutare il bambino in questione e proteggere contemporaneamente i propri figli.

Altri piccoli suggerimenti.
In qualsiasi ruolo voi siate, amici, conoscenti, famigliari, educatori o altro, non fateli sentire emarginati o stigmatizzati.
Non è semplice e a volte verrebbe da fare proprio il contrario, ma è proprio questo atteggiamento dell’altro che riflette poi un’immagine negativa di sé, presa dal bullo come unico modo per essere riconosciuto.
Si comprende come ciò alimenti un circolo vizioso.

Aiutateli a sviluppare un senso morale e sociale, attraverso il confronto, il dialogo, la riflessione, lo scambio di punti di vista: fornite il vostro a loro che potranno imparare ad averne uno diverso dal proprio o da quello che hanno sempre vissuto e condiviso.

La comunicazione con l’altro permette lo sviluppo di un senso integrato e coerente del Sé, pertanto se spesso manca il dialogo nel loro contesto quotidiano, aiutateli ad inserirlo come elemento fondamentale di una relazione costruttiva.

Come dicevamo poco fa, a loro manca l’empatia e la capacità di comunicare i propri sentimenti. Se vi è una lacuna in questo senso, di conseguenza la gestione dei conflitti diventa difficile.
Allora, li si può guidare nel trovare altri canali di sfogo delle emozioni, in primis della rabbia, a dare dignità e valore a questa emozione che comunque e’ un segnale importante del Sé e a riconoscere l’emozione dell’altro. Come? Il dialogo prima di tutto e, ad esempio, nel mettere delle parole laddove vi siano solo atteggiamenti ed agiti che per loro rimangono senza significato.

BULLISMO: COME FARE PER RINFORZARE LE VITTIME.

bullo” Tirati giù le mutande altrimenti non sono più tua amica!”

               “Se non fai quello che ti dico ti picchio”

               “Tu non puoi giocare con noi perché sei ciccione”

 

Questi, e tanti altri ancora, sono esempi di frasi che rappresentano il bullismo tra pari.

Una mamma, tempo fa, mi chiese: “come si insegna ai bambini ll rispetto per gli altri? Come fa un bambino da solo ad avere le competenze per scegliere la cosa giusta da fare in assenza dei genitori? Cosa si può dire ai bambini per rinforzarli?”.

Questo è un tema difficile che preoccupa da sempre i genitori, ancor di più nell’era moderna in cui, oltre agli atti di bullismo, è presente anche il cyberbullismo, ovvero il bullismo in Internet.

Il rispetto per gli altri non lo si insegna, ma lo si apprende nel corso del tempo attraverso l’imitazione dell’altro, in primis dell’adulto accudente.

Se i bambini, fin dalla nascita, ricevono un’educazione basata sul rispetto e sull’amore, allora saranno degli adulti in grado di essere loro stessi rispettosi e rispettati.

Ciò può sembrare una banalità,  ma forse vale la pena di riflettere sul significato del “rispetto”.

Se un adulto prende in giro, magari scherzando (“ma dai, smettila, stavo scherzando quando ti ho detto che non capisci nulla!”), e non si accorge della ferita emotiva che infligge al proprio bambino, allora non vi è rispetto.

Se un adulto, con l’intento di stimolare, di far puntare in alto, di promuovere ed incitare utilizza nomignoli divertenti (“muoviti, corri, mozzarella!!!”), allora non vi è rispetto.

Se un adulto utilizza lo schiaffo, come metodo educativo,  allora di nuovo non vi è rispetto.

Come cresce un bambino in questo contesto?! Non sarà un bambino forte, sicuro di sé ma, al contrario, la sua autostima sarà danneggiata, sentirà di valere poco o di non valere affatto, tanto da meritarsi i diversi trattamenti e sarà più facilmente oggetto di bullismo da parte dell’altro, poiché incapace di difendersi, poiché è minata la fiducia di sé.

D’altra parte, questo stesso bambino più grandicello, potrà agire a suo modo le violenze subite, poiché avrà appreso come stile relazionale tipico quello non rispettoso o violento.

Ecco cosa c’è alla base di questo fenomeno. Tutto parte da qui.

I bambini vanno quindi rafforzati nella propria autostima.

Questo può essere fatto quotidianamente, attraverso dei complimenti, l ‘attenzione al bambino e ai suoi bisogni, la dedizione a lui e alla sua crescita emotiva.

Si vive in un’epoca in cui manca il tempo di fare tutto: ma non è la quantità del tempo che ci dedica ad un bambino che fa la differenza, quanto piuttosto la qualità, ovvero nei piccoli gesti quotidiani, nei momenti condivisi anche brevi, è lì che, se è presente un reale ascolto del bambino, gli si trasmette il valore che ha e lo si farà sentire rinforzato nell’anima.

 Detto questo, un bambino anche da solo, in assenza del genitore che lo protegge, può mettere in atto delle competenze che lo proteggono qualora dovesse vivere una situazione di bullismo.

Se sente di valere, prima di tutto, non lascerà che l’altro lo maltratti. Questo, a qualsiasi età.

In secondo luogo, la cosa giusta da fare é prestare attenzione a come l’altro mi fa sentire: uno stesso modo di dire o agire può ferire un bambino e può lasciare indifferente l’altro. Nel primo caso, bisogna insegnare ai bambini ad ascoltare le proprie emozioni e reagire di conseguenza.

Se un bambino è sufficientemente forte e sicuro di sé, metterà a tacere il bullo di turno che non lo rispetta.

Se un bambino si sente più fragile ed indifeso, allora dovrà trovare il coraggio di parlarne con qualcuno e di chiedere aiuto subito.

Spesso questa è l’unica strada da percorrere, anche per quei bambini forti.

Il chiedere aiuto puo’ sembrare una strategia di poca importanza ma, in realta’, ne ha moltissima e non è una cosa cosi’ scontata.

Bisogna insegnare ai bambini a chiedere aiuto, perché spesso non riescono, non sono in grado, hanno vergogna, hanno paura di farlo perché temono di non essere ascoltati o creduti. Percui, diventa una competenza da allenare, per proteggersi in queste situazioni così difficili!

 

 

LE FRAGILITA’ DEGLI ADOLESCENTI: QUALI I RISCHI E COME AIUTARLI.

adolSI SENTONO QUASI TUTTI I GIORNI NOTIZIE DI VIOLENZE SUI BAMBINI CHE FANNO STARE MALE TUTTI, DANNO UN NODO ALLO STOMACO, SPAVENTANO E RENDONO MOLTO TRISTI.

A VOLTE E’ DIFFICILE POTER PARLARE DI QUESTE ESPERIENZE PROPRIO PER QUESTI MOTIVI, PERCHE E’ DOLOROSO, ALTRE VOLTE PERCHE’ SI PREFERISCE NASCONDERE E NON DIRE NULLA, COME PER VOLERNE PRENDERE LE DISTANZE.

MA ATTENZIONE, PERCHE’ E’ PROPRIO IL TENER SEGRETO, IL NON DIRE NULLA, CHE ALIMENTA LE VIOLENZE STESSE E NON AIUTA CHI SI TROVA A SUBIRLE.

VI RACCONTO UN’ESPERIENZA VERA, I CUI DATI SONO STATI OVVIAMENTE MODIFICATI.

Gretel è una ragazzina di 12 anni. Si veste sempre in modo molto appariscente, a volte indossa un abbigliamento ai limiti della seduttività, accompagnato da un trucco evidente, che lascia intendere un forte desiderio e bisogno di essere vista.

Dopo una lunga conoscenza, che le ha permesso di sentire di potersi fidare, dice di aver conosciuto un ragazzo, di circa 22 anni, presentatole dagli amici della sua compagnia e di sentire di essersi innamorata di lui. Lo racconta in un modo che mi fa sentire quanto sia confusa rispetto alle sue emozioni e ai suoi vissuti. Sembra mostrare un forte entusiasmo ma, nello stesso tempo, “la paura e la colpa di aver fatto una cosa sbagliata”, così dice lei.

Dice che questo ragazzo le dice delle frasi e delle parole che la fanno sentire importante, diversa dalle altre ragazze, che vale qualche cosa, che è la ragazza più bella che lui abbia mai visto, così che lei crede che per lui vale tantissimo. Passano ore e serate interminabili a scriversi via chat parole affettuose e questo dura da circa 2 mesi. Gretel dice di stare veramente bene quando lo sente, non vede l’ora dei momenti vuoti, dove non deve studiare o fare nuoto, per chiacchierare con lui on-line e spesso rinuncia a trascorrere dei momenti con le migliori amiche perché deve chattare con lui.

Faticano a vedersi a causa della distanza, per cui Gretel si trova di fronte alla scelta di stare con gli amici o di fronte ad un pc. Spesso sceglie quest’ultima alternativa e sembra che, a causa di ciò, i rapporti tra lei e gli amici stiano svanendo, ma nessuno le dice nulla: le amiche non dicono nulla, poiché la capiscono e comprendono che un “fidanzato” può occupare tutto quel tempo; il gruppo di amici non dice nulla e quasi non sembra rendersi conto delle assenze dell’amica, assenze fisiche nei momenti in cui è’ a casa al pc, ma anche psichiche nei momenti in cui, fuori in paese con il gruppo, è assorta nella chat dell’Iphon; a scuola, nonostante vi sia un evidente calo nel rendimento scolastico, sembra esserci la paura di dire e di scatenare conflitti; a casa non dicono nulla poiché “è l’adolescenza”, dice Gretel riferendosi alle parole per caso sentite dalla mamma e poi perché “con il papà non posso parlare, mi sgriderebbe, non capirebbe e darebbe la colpa a me in ogni caso…sai, non gli piace come mi vesto!”, aggiunge la ragazzina.

Forse è scontato dire che Gretel ha un forte bisogno di essere vista. E lo manifesta nel modo più semplice, trasformando il suo corpo in un oggetto costruito, finto ed artificiale, che dentro sembra non avere un’anima, un’identità. Sappiamo che nel periodo dell’adolescenza e pre-adolescenza il bisogno principale, o compito evolutivo, è quello di iniziare a costruire la propria identità, attraverso un lungo cammino fatto da molti ostacoli, da salite e da discese, da momenti di regressione dove ci si sente ancora bambini, a momenti dove ci si crede grandi e responsabili e si pensa di non aver bisogno di aiuto.

Proviamo ad immaginare una ragazzina pre-adolescente che si sente qualcuno, si sente importante, solo se c’è qualcun altro, al di là di uno schermo, che glielo ricorda. Immaginiamo questa ragazzina che si sente unica e speciale solo perché ha le attenzioni di un ragazzo più grande che le fa sentire che la desidera. Immaginiamo Gretel che per sentire di esistere, di esserci, pensa di dover addobbare il suo corpo come un albero di Natale….tutti ricordano il Natale ….ma dov’è la sua autostima?! Come sta costruendo quella grande torre, che la sosterrà per tutta la vita, chiamata identità?! Sta mettendo mattone su mattone senza avere le fondamenta, costruendo una torre fragile, sensibile e, la cosa più grave, da sola!

La ragazza prosegue il suo racconto dicendomi che non si sente sicura. Perché questo ragazzo le piace molto, ma è grande e sta iniziando a proporle di vedersi ed uscire “dalle sue parti”, così dice lei. Ovvio che ciò che prova è una grande confusione emotiva e psichica: c’è il desiderio e l’adrenalina anche solo al pensare di provare ad uscire con questo ragazzo, alimentati dalla fantasia che per lui è unica e speciale e che stare con lui la farà sentire certamente così bene; ma, dall’altra parte, Gretel dice “non sono tanto sicura, se mi chiede delle cose?”, trasmettendomi tutta la paura , l’insicurezza, e la trasparenza di quei vissuti emotivi che funzionano e che le stanno dicendo “c’è qualcosa che senti che non va, fermati un attimo”.

Passa del tempo e un giorno Gretel è irrequieta, distratta, assente col pensiero. Mi cerca perché ha bisogno di parlarmi e lo dice con le lacrime agli occhi, cercando di nasconderle, forse per l’imbarazzo. Mi dice che il famoso ragazzo l’ha invitata ad un incontro, soli loro due. Dice che lei “non è riuscita a dire di no, che da una parte non vedeva l’ora di vederlo, di provare dal vivo tutte le emozioni che le ha sempre fatto magicamente provare in un mondo parallelo”, ma dall’altra sentiva qualcosa, che ha chiamato “agitazione, tremori alle gambe, un nodo allo stomaco” ma che, in un primo momento ha trascurato. Va all’appuntamento. Racconta di essere andata a mangiare un gelato e che poi hanno preso qualcosa da bere. Dice che lui era dolcissimo, le ha anche tenuto la mano. Dice che hanno fatto una passeggiata, raggiungendo poi la macchina, dove lui le ha proposto di salire e di accompagnarla a casa. Lei sale, dice che è stato veramente gentile. Vicino a casa, le propone l’alternativa: fermarsi un attimo nel parcheggio, un po’ coperto. Gretel dice di iniziare qui a sentire qualcosa che non andava bene, come una “vocina”, dice lei, che mi diceva di non accettare. Accetta la proposta. In macchina, da soli, lui si avvicina a lei e comincia a farle delle carezze. Gretel dice di avvertire i tremori, così chiamati da lei. Accoglie le carezze. Il ragazzo prosegue e la bacia. Lei accoglie il bacio, anche se non voleva, afferma. Poi lui inizia ad approcciarsi a lei in modo differente e seduttivo, che lei descrive come “non mi ascoltava neanche, mi allontanavo e lui si avvicina di più, insistendo”, facendo intendere la più completa mancanza di rispetto, ed è qui che ha pronunciato le parole “no, non voglio”, facendosi poi accompagnare realmente a casa.

Dice che si sente cattiva e quando le chiedo il perché, dice che “lui è stato così gentile e carino con lei e che lei non gli ha dato niente in cambio, che si è comportata da maleducata”. Sembra portare un senso di colpa, ma che non le appartiene, alimentato anche dalla fantasia di aver sedotto il ragazzo con il suo atteggiamento e modo di apparire provocanti. Non si parla di colpe, la responsabilità avrebbe dovuto essere del ragazzo, maggiorenne e giovane adulto, che non ha saputo rispettarla nelle sue emozioni, ma è stato molto difficile cercare di aiutarla a disinvestire se stessa dalla colpa legata al pensare di aver provocato il ragazzo con il suo modo di vestire o di porsi. C’è poi un papà che le dice proprio così, con il quale non si sente libera di parlare.

SPESSO GLI ADOLESCENTI SI SENTONO E SONO SOLI, CON LE LORO PAURE, INSICUREZZE, DUBBI. NON SANNO SCEGLIERE, HANNO BISOGNO DI UNA GUIDA CHE LI SUPPORTI MA CHE, A VOLTE, NON TROVANO. NEI SOCIAL NETWORK E’ FACILE INTESSERE RELAZIONI, TROVARE QUALCUNO CON CUI PARLARE E SFOGARSI. ALTRETTANTO FACILE E’ CADERE NELLE TRAPPOLE COME E’ SUCCESSO A GRETEL.

QUINDI, E’ FONDAMENTALE CREARE CON GLI ADOLESCENTI UNO SPAZIO DI ASCOLTO, DOVE NON SI SENTANO GIUDICATI, ACCUSATI, MA DOVE POSSANO INVECE SENTIRE DI POTERSI FIDARE, DI POTER TROVARE UN ADULTO CHE SAPPIA ASCOLTARE EMPATICAMENTE E SOSTENERE EMOTIVAMENTE. I MINORI VITTIME DI VIOLENZE HANNO BISOGNO DI ESSERE ACCOMPAGNATI AD USCIRE DAL SILENZIO, DAL TABU’, CHE SI CREA INTORNO ALLA VIOLENZA STESSA.